H.E.A.T.: Address The Nation
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04/04/2012Raramente è capitato che una band riuscisse a pubblicare tre dischi di fila con una qualità a dir poco perfetta. Se consideriamo inoltre che Kenny Leckremo ha lasciato la band due anni fa e, al suo posto, hanno assoldato Erik Grönwall, noto per aver vinto lo Swedish Idol tre anni fa, il rischio di incappare nel primo flop era potente ed infido. Detto questo, il disco prosegue esattamente dove 'Freedom Rock' ci aveva lasciati, in pratica sono riusciti a proporre dieci pezzi che, senza ombra di dubbio, sono sulla carta ciò che esattamente ci si aspetta dalla band svedese (e questo alla lunga si traduce in un minus), non cambiano di una virgola la proposta, anzi, la impreziosiscono con la voce di Gronwall dove, nei pezzi più tirati se la gioca quasi alla pari con Leckremo, ma vince a mani basse sulle ballad. Veramente notevole la prova del giovane Erik, a maggior ragione se pensiamo che dal vivo è pressoché identico in studio; è oggi il migliore singer per quel che riguarda le nuove leve e non solo, alla fine del disco il pensiero è che forse sia sprecato per una band di nicchia come questa, considerando anche il valore di quanto pubblicato da lui in precedenza. "Living On The Run" è stato l'antipasto di questo bel disco: discreto per coinvolgimento ed intensità, ma che non fa minimamente urlare al miracolo. Bella invece la ballad "The One And Only" per il pathos creato da Erik, mentre "In And Out Of Trouble" è in mid eccellente con tanto di sax plasmato perfettamente nel contesto. Difficile trovare qualcosa di brutto, è tutto perfettamente al suo posto; "Better Off Alone" è il pezzo più bello del disco, mentre "Heartbreak" forse esagera nell'ispirazione ad un Desmond Child d'annata. Affascinante e quasi diametralmente opposta a tutto il resto la conclusiva "Downtown", la meno hair metal del lotto, la più ricercata e la più varia come melodie nell'inciso, la più eighties e la più da colonna sonora. Da notare anche l'apporto degli Hardcore Superstar in veste di co-autori in "Falling Down". Nota di merito alla produzione che fa risaltare bene le voci e non impasta le tastiere, mastering un attimo esagerato come volume ma può andare bene così. Un disco sotto tutti gli aspetti riuscito, uno dei più belli dell'anno, anche se non raggiunge la freschezza dei primi due: mancano alla fine dei veri e propri "singoli", il tutto rimane un po' troppo uguale, quindi talmente ben fatto che c'è il forte sapore di finto che olezza dopo alcuni ascolti. L'ultimo Dynazty vince il confronto per la varietà dei pezzi e per un singolo-capolavoro, e se bisogna scopiazzare, almeno la band "sorella" è più sincera e qualcosa lascia, mentre questo 'Adress The Nation' lascia un poco di amaro in bocca.
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