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TESTAMENT+EXODUS

Poche chiacchiere: il concerto del Rock in Roma capitanato dai Testament è l’evento metal dell’anno nella Capitale. Questo perché a condividere il palco con Chuck Billy e soci ci sono altri titani del thrash metal made in USA: Exodus, Death Angel e Heathen. Tanta roba, insomma. Davvero tanta. Bella sorpresa, arrivando all’Ippodromo di Capannelle, è constatare che al concerto è stato assegnato il palco medio-grande, quello degli eventi importanti. Il che vuol dire tanto spazio per i musicisti, ottima visibilità per il pubblico e…volumi belli alti, come piacciono a noi seguaci del dio metallo. Una sorpresa un po’ meno bella, almeno per il sottoscritto, è stata arrivare mentre i Death Angel erano già al quarto pezzo. Il che vuol dire essermi perso gli Heathen per intero e l’opening degli Angel. Maremma! Gli orari divulgati sono stati rispettati alla lettera, in pratica. Di per sé un’ottima cosa, molto in stile Milano, città dove i concerti iniziano e finiscono presto per consentire agli spettatori di tornare a casa con i mezzi pubblici. Altra bella tradizione, se non fosse che nel capoluogo lombardo in mezzora arrivi da un capo all‘altro della città, mentre a Roma in mezzora arrivi giusto al tabaccaio sotto casa. Pazienza. Cancelliamo l’amarezza con un po’ di ironia. E torniamo alla musica. Gli Heathen non li abbiamo visti, ma ci dicono di aver fatto una grande performance. Non ne dubitiamo, poichè pur non essendo tra le band più famose della Bay Area hanno sempre avuto – meritatamente – il loro bel seguito di estimatori. Sarà per la prossima. I Death Angel sono in forma. Ottima forma. Un po’ invecchiati, ma come dicono a Oxford “je danno”. Osegueda si fa in quattro e interagisce molto con il pubblico (pure troppo, direbbe qualcuno – ma sempre con grande simpatia). Ad accompagnarlo la sua fidata crew, anch’essa solida e sempre sul pezzo. Bella scelta di brani, equilibratamente diversificati tra discografia recente e più vecchia (sempre la più apprezzata, ndr). Degno finale il classico "Thrown to the wolves", diventato un loro inno dal 2004, anno di pubblicazione dell’album 'The art of dying'. Esattamente l’anno in cui il sottoscritto li ha visti live per l’ultima volta. Di quel concerto ricordo ancora indelebilmente le scapocciate incessanti del cantante e i suoi salti acrobatici – una performance al fulmicotone, che avrebbe resuscitato anche i morti. L’energia per forza di cose non è più la stessa, ma l’attitudine sì! I Death Angel spaccano ancora, “e so’ belle notizie”. Ecco il momento degli Exodus, una delle band più violente – e tecniche – del thrash metal. La scure del team Holt si abbatte spietata sul pubblico romano, che acclama i thrasher a gran voce sulle note di The beatings will continue. E, soprattutto, da questo momento in poi, si scatena in sentitissimi mosh pit uno dopo l’altro. La band di Frisco (nomignolo con cui gli americani si riferiscono affettuosamente a San Francisco) è furba e sa come aizzare la folla, ovvero scegliendo come secondo brano A lesson in violence. Schiacciasassi. Non mancano canzoni più recenti come la bella "Blood In Blood", ma soprattutto dall’ultimo album (che secondo me e alcuni altri appassionati avrebbero potuto scegliere meglio). Tuttavia, come da prassi, è sui classici old school che l’audience si scatena di più. "And there was none", "Blacklist", "Toxic Waltz" e "Bonded by Blood" sono dinamite liquida che ci ubriaca tutti e regala tanta brutale felicità. Bella la dedica di Souza - a cui la voce per fortuna continua a non mancare - a tutti i fan, con cui gli Exodus condividono lo stesso sangue metallico. Già, una questione di sangue e attitudine, tutto torna. Classica la chiusura disintegrante con "Strike of the (fuckin) Beast". Lunga vita agli Exodus. Giganti.

Calano finalmente le tenebre e insieme ad esse appare la coreografia dei Testament, principi e headliner della serata. C’è grande attesa per il live dei californiani più famosi, e si respira un’aria di revival, di “ritorno a una serenità” fatta di suoni distorti e violenti. La canzone appena velatamente citata, per la cronaca, i Testament non la suoneranno (mannaggia) ma il concetto di ritorno si è ripetuto ciclicamente durante tutta la giornata. Ritorno alla normalità e alla musica dal vivo, dopo due anni di alienazione e segregazione pandemica. Tutte le band che hanno calcato il palco di Capannelle lo ripetono più e più volte: tornare a suonare davanti al loro pubblico è bellissimo. Lo è anche per noi tornare ad alzare corna al cielo ascoltando le canzoni che sono la colonna sonora della nostra vita. Sulle note di "Rise Up", ormai classico opening dei loro live, si aprono le danze. Bello constatare come la band più sfortunata al mondo quando si tratta di suoni – li ho visti dal vivo ormai tante volte, e solo in un paio di occasioni non hanno avuto problemi di tale natura – stasera sono ben settati e messi in condizione di farci godere di ogni loro singola nota. Anche Chuck & company suonano qualcuno dei loro brani più recenti, come è giusto che sia, ma pescano principalmente dalla parte storica della loro discografia. E finiranno per regalarci una scaletta fantastica. "The new order", "Practice what you preach", "Over the wall", "First strike is deadly", "Into the pit" (dove ci scappa pure il fumogeno rosso a fare da coreografia a un corposo circle pit) e soprattutto "DNR", una delle canzoni più potenti della storia del thrash, secondo il sottoscritto. Prima di "Do Not Resuscitate" Chuck Billy racconta di come questo sia stato il primo brano creato insieme da Steve Digiorgio e Dave Lombardo al loro ingresso in formazione nel ‘98. Già, i due super-musicisti di origine italiana sono presenti sul palco e rendono la formazione – completata dagli storici Skolnick e Peterson – quasi una squadra di super eroi. Altro che Avengers! Dallo stesso album anche la fantastica "True Believer", dedicata a tutti i fedeli discepoli dell’heavy metal. Divertente siparietto quello messo in scena da Steve Digiorgio che, dopo aver sparato qualche frase in italiano maccheronico, invita il pubblico a cantare LA parola magica e blasfema più amata dai metallari mentre ci regala un assolo di basso. Assolo che introduce "Souls of black", tra l’altro. Che serata, ragazzi! Mi sarebbe tanto piaciuto ascoltare qualche brano atmosferico ed evocativo come "The Legacy" o "The Ballad", ma i guerrieri della Bay Area prediligono la potenza di pezzi come The Formation of Damnation. Va bene così, dai. Tutti i presenti avrebbero goduto volentieri di altre tre, quattro o cinque (ma anche venti!) canzoni, ma “tutto ciò che ha un inizio ha una fine” dicevano in Matrix, e il concerto del Rock in Roma non viola questa regola della vita. E il nostro lieto fine arriva sulle note di "Alone in the dark".

E’ difficile concludere il report di una così bella mezza giornata di musica e di hardsounds way of life. Forse il modo più giusto e sincero è di farlo con delle considerazioni/emozioni personali. Una bella sensazione, che avevo quasi dimenticato, è per esempio quella di aver perso il conto dei concerti visti nell'ultimo periodo. Che è sempre un buon segno, perché vuol dire che ci stiamo riappropriando della nostra normalità. Un’altra bella sensazione, a conferma di quanto appena detto, è stata stringere in poche ore più mani che in due anni interi - quanti incontri! La vecchia scuola risponde sempre "presente" insomma. Long live thrash fuckin' metal!

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