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STEVE GRIMMETT'S GRIM REAPER

Uno dei maggiori rimpianti di un metal addicted under 40 è quello di non aver potuto godere appieno degli anni d'oro del metal. Gli anni '80, periodo di fioritura massima delle varie band heavy che ancora oggi calcano i più importanti stage europei e mondiali, quindi quale occasione più ghiotta di questa per fare un salto nel passato e per una sola sera, sentire il brivido e l'emozione di quegli anni oramai passati. La location è in quel di Roma, al  Traffic Club, e la band in questione è quella capitanata dal biondo crinito singer Steve Grimmett e i suoi Steve Grimmett's Grim Reaper. Ad aprire la serata e riscaldare il pubblico accorso per l'occasione ci pensano due band, i Black Inside, provenienti da Napoli con il loro heavy/doom di stampo classico e i Lady Reaper, band giovane della città capitolina. Sono circa le 23.30 quando i nostri salgono sul palco dinanzi a circa 200 fans che invadono lo spazio antistante al palco, pronti a scatenarsi ed acclamare la band che inizia la propria performance nel migliore dei modi sfoderando un tris di classici come "Rock You to Hell", "Night of the Vampire" e "Lust for Freedom" che mandano in visibilio la platea senza lasciarle nemmeno il tempo di respirare tra un pezzo e l'altro. La voce di Steve Grimmett, anche se non più come quella dei fasti di un tempo, (gli anni passano per tutti) è potente ed evocativa, e non ci mette più di due pezzi per riscaldarsi a dovere e iniziare a carburare dispensando acuti sempre più alti di tonalità, coadiuvati da una accordatura che all'ascolto pare leggermente ribassata (forse un mezzo tono sotto). Lo show procede fluido ed è evidente come i nostri siano oramai abituati alla dimensione live ed abbiano confidenza con il palco,sul quale si muovono con disinvoltura ammiccando al pubblico, aizzando la folla scalmanata che si dimena in un headbanger sfrenato intonando in coro i più celebri ritornelli della Nera Signora. Il compito di scandire i tempi è affidato al giovane Paul White, rullo compressore e selvaggio pestatore di pelli che per tutto il set non perde un colpo offrendo una performance davvero degna di nota che non può far altro che impressionare positivamente gli astanti. La band è solida e il merito del muro di suono generato, capace di scompigliarti i capelli con la sola onda d'urto generata dai decibel prodotti, non è solo merito del drummer, ma anche di un gran lavoro sulla sei corde da parte di Ian Nesh, chitarrista che mescola la tecnica, ma non i tecnicismi fini a se stessi, con l'attitudine puramente rock, sfoderando assoli in cui a farla da padrone è proprio quest'ultima e non la ricerca di orpelli o arzigogoli vari. Non si avverte la mancanza di una seconda chitarra, il suono è già grosso e compatto ed il merito è soprattutto  di una linea di basso che riempie a dovere i vuoti imbastendo ritmiche riempitive che forniscono una base di appoggio per le scorribande soliste di Mr. Nesh. La scaletta, oltre che ripercorrere i grandi classici che hanno reso famosa la band inserendola nel novero dei gruppi che hanno fatto la storia della NWOBHM, ricalca un po' quella eseguita nel lontano 1987 in occasione dell' "Hell On Wheels", tanto già ci basta per un ritorno al passato e a certe atmosfere a noi care."Rock Me 'till I Die" ci pare già di per se una dichiarazione di intenti e un messaggio lanciato ai fan che vengono spronati (qualora ce ne fosse bisogno) ad intonarne il ritornello. A poco più della metà della scaletta tutto si ferma, Steve Grimmett ricorda ai fan che esiste un solo Dio, e che questo ci ha lasciato una manciata di anni fa, e dopo questo breve preambolo intona la bellissima "Don't Talk to Strangers", cantanta con molto sentimento ed accolta con un boato da parte dei fan. La prestazione è certamente di altissimo livello, anche per il coinvolgimento emotivo e culmina in un sentito applauso tributo alla memoria di Ronnie. E' tempo di "Waysted Love", presentato come ultimo pezzo della set list, alla fine del quale la band saluta i fans per abbandonare il palco, ma non per molto, lo show non è ancora finito e i nostri hanno ancora qualche ultima cartuccia da sparare, si ricomincia con "Final Scream", pescata da "Fear No Evil", secondo lavoro della compagine inglese e a seguire, il classico "See You in Hell" dall'omonimo disco datato 1984 che ha il compito di chiudere le danze e congedare la band salutando i fedelissimi accorsi a questo evento che non ha deluso le aspettative di chi per una sera d'autunno ha voluto rivivere un capitolo della grande storia che è il Rock, scritto da una band forse sottovalutata rispetto ai soliti grandi nomi del settore. 

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