SHELLAC
Le premesse erano da cardiopalma, grande bill, ma un paio di cambi di location (visto che le prevendite erano andate oltre le piu' rosee aspettative e l'Init non avrebbe potuto contenere tutti quelli che hanno realmente partecipato), e l'incognita del derby Roma - Lazio (previsto inizialmente di sera e poi anticipato al pomeriggio) a minare le certezze di chi non voleva rinunciare a nessuno dei due appuntamenti, e l'incertezza, per chi non aveva comprato il biglietto in prevendita, di fare un viaggio a vuoto e non trovare biglietto per assistere al concerto. Per la serie: mai avere delle aspettative nei confronti di un concerto perchè per la prima legge di Murphy queste verranno puntualmente disattese; infatti tutte le volte che ho avuto il piacere di vedere gli Uzeda dal vivo (almeno tre) non ho mai avuto nessuna critica da muovergli; concerti perfetti fino all'osso, dissonanti, precisi, taglienti come pochi altri (tra l'altro la prima volta fu nel 1995 e neanche a farla apposta nuovamente con gli Shellac al vecchio circolo degli artisti di Roma). Riagganciandomi alla prefazione stavolta i catanesi sono stati meno coinvolgenti del solito, forse sarà stata colpa della scelta del set o del caldo che incombeva in sala, li ho trovati sottotono rispetto alla solita perfezione a cui mi avevano abituato, ma stiamo sempre parlando dellla punta di diamante del noise nostrano. Rivedibili. Turno degli headliner, che dopo essersela tirata un bel po' (lunga attesa) e sopratutto per il caldo a cui siamo stati sottoposti, logica conseguenza del sold out che ci ha costretti nelle retrovie cioè nella sala dietro il mixer per poter respirare un pò d'aria che non avesse quell'olezzo da girone infernale, hanno fatto vacillare la pazienza fino all'ultimo barlume di sopportazione; se a cio' si aggiunge che in occasione dell'ultima volta che abbiamo visto gli Shellac (firenze nel 2008) si presentarono con delle masturbazioni cerebral-soniche in puro esercizio di stile, ne consegue che nutrivamo forti dubbi sulla riuscita della performance. E qui che invece è intervenuta la seconda legge di Murphy (quella che sovverte le aspettative), con sommo gaudio gli americani hanno tirato fuori il vecchio repertorio, il buon sanguinolento noise per cui son diventati famosi ed apprezzati in tutto il mondo, saccheggiando tutta la discografia senza soluzione di continuita'. A metà del concerto il bassista inizia ad intervistare il pubblico con domande del tipo: qual'è il mio cibo preferito? Il mio brano preferito? puntando il dito verso qualcuno del pubblico. Steve Albini non ha lesinato eleucubrazioni mistico filosofiche fino ad arrivare al penultimo brano 'The End Of The Radio' (neanche a dirlo tratto da "Excellent Italian Greyhound" del cui live vi parlavo sopra) in cui l'ha fatta da padrone un giro di basso monocorde e reiterato all'infinito che dopo un minuto di ripetizione fine a se stessa gia' ci aveva ammorbato, e nel prosieguo non c'è stato mai un cambiamento di ritmo, un giro di note o una variazione di velocità e tantomeno gli altri due strumentisti sono intervenuti per dare quel quid in più che avrebbe cambiato le sorti. Sorprendenti pietre miliari del noise che hanno saputo riportarci indietro nel tempo grazie anche al valore dell'ultimo lavoro "Dude Incredible" che ha riallacciato i ponti con gli esordi.
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