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OM

Esperienze mentali e sensoriali. Questo è ciò che si appresta ad affrontare quando si ascolta un album qualsiasi degli Om, la creatura che Al Cisneros ha creato dopo la prima parte dell’esperienza musicale e discografica con gli Sleep, e che è andata avanti per circa un decennio con la pubblicazione di dischi che dal doom psichedelico di ‘Variations On A Theme’ si sono poi protratti in una ricerca di sonorità dalle tinte estremamente esoteriche e sciamaniche, culminate con album come ‘Pilgrimage’, ‘God Is Good’ e ‘Advaitic Songs’. Quest’ultimo album è datato 2012; da lì la produzione di nuova musica targata Om si è fermata, continuando però il suo percorso in alcune partecipazioni live, tutte di rilievo, nonché dal lento, ma inesorabile, ritorno ai lavori con Matt Pike e Jason Roeder, quindi con gli Sleep. Quest’anno, dopo la partecipazione ai DesertFest londinese e berlinese, la band di Al Cisneros si è apprestata a compiere una serie di date in giro per l’Europa, toccando anche l’Italia nelle date agostane di Livorno e di Milano. La calda serata di giovedì 8 agosto al Circolo Magnolia prevedeva un’ampia partecipazione di pubblico, e così è stato già ben prima che la band iniziasse a suonare, complice anche la sempre ottima accoglienza della venue, tra sedie a sdraio, aree attrezzate sotto gli alberi, ed un’offerta food&drinks di buon livello.

Già con l’esibizione del dj The Bug (artista che accompagna gli Om durante le date europee) si vede un bel dispiegamento di gente davanti palco, che si lascia coinvolgere positivamente dalle sonorità elettroniche emanate, che vanno da una electro sostenuta a sonorità più rilassanti e reggaeggianti. Ma è chiaro che il popolo del Magnolia attende con particolare impazienza e frenesia che salga sul palco quell’omone di Al, con la sua barba folta e il suo inseparabile Rickenbacker, e che si laci coinvolgere dalle atmosfere spaziali che poche band come loro riescono a suscitare. Sotto un’unica illuminazione blu acceso, il set degli Om si concentra principalmente sugli ultimi due album. La prima parte verte su alcuni capitoli di ‘Advaitic Songs’, e già con “Gethsemane” si entra in un turbine di onde sonore rilassanti che ci avvolge, e che noi accettiamo ben volentieri. Segue il brano forse più famoso della band, “State Of Non-Return”, accolta con entusiasmo dal pubblico. La resa globale del brano, però, risulta deficitaria soprattutto quando ci si addentra nella sua parte più aggressiva, dove Cisneros si scatena con il suo basso, il cui suono esce dalle casse estremamente distorto, denotando punte fastidiose, che fanno storcere il naso. Questa risulta essere, comunque, l’unico neo di uno show che, proseguendo con “Sinai”, e poi proponendo nella sua interezza l’album ‘God Is Good’, ricorda molto le sonorità presenti nel disco, accrescendo di atmosfera e creando un unicum sensoriale difficilmente attaccabile.

Il picco, personalmente, lo si tocca con la lunga suite “Thebes”, dove Cisneros colpisce il suo basso scavando la fossa sotto i nostri piedi, con dei fendenti letali che non lasciano superstiti. Analogo discorso lo si può fare per la performance alla batteria di Emil Amos, che martella per bene il suo strumento ed accompagna perfettamente i disegni fluttuanti che vengono costruiti. Nonostante un’interazione con il pubblico quasi uguale a zero, quest’ultimo è stato pienamente appagato, grazie ad un’esibizione che può essere etichettata come di mestiere, ma è sicuramente un mestiere che si tramuta in un’esperienza di raccoglimento collettivo, in cui il guru Al, con la sua voce unica e aliena, ormai satura di tutte le sostanze possibili e immaginabili assimilate negli anni, ha regalato momenti di catartica ipnosi, da cui se ne esce molto tempo dopo la fine del concerto.

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