OBITUARY
[AVATAR] I primi a salire sul palco sono gli svedesi Avatar che, freschi del loro secondo lavoro ‘Schlacht’, propongono ai presenti (ancora pochi in verità) il loro melodic death metal (ma dai! un gruppo svedese che fa death melodico?!? Non si era mai visto!). Il pubblico è un po’ freddino, soprattutto all’inizio, ma il buon Johannes Michael Gustaf Eckerström si dà da fare eccome per smuovere un po’ la platea e qualche risultato lo ottiene. Certo, la proposta della band scandinava è tutto fuorché originale, ma i giovanotti sul palco danno l’anima, e alla fine vengono premiati ricevendo applausi anche dai più scettici. Un opening act che ha svolto senza pecche il proprio compito. [HOLY MOSES] Di ben altra caratura sono però gli Holy Moses band tedesca attiva dai primi anni ottanta e giunta ai giorni nostri mantenendo inalterato il proprio credo thrash. Capitanati dalla battagliera Sabina Classen, una tra le icone del metallo al femminile, gli Holy Moses hanno mostrato sulle assi del palco tutta la loro esperienza, dando vita ad uno show coinvolgente che ha pescato da una discografia quasi trentennale e che ha riportato i più ampi consensi con “Too Drunk To Fuck”, emblema di una way of life che non conosce mezze misure. Il thrash metal suonato con passione è sempre una garanzia. [OBITUARY] Quando è il turno degli Obituary davanti al palco si contano ormai più di un migliaio di fan, pronti a scatenarsi non appena il seminale quintetto mette piede on stage. Un marasma giustificato da un inizio dirompente la cui apertura viene affidata alla monumentale “Find The Arise”, seguita a ruota da una “On The Floor” che non fa prigionieri. È però col terzo colpo sparato che gli Obituary lasciano il segno più marcato su questa serata milanese: “Chopped In Half”, sicuramente uno dei pezzi che attendevo con più impazienza (ma non ero certo il solo), mostra agli astanti cosa significhi suonare death metal. Pesanti e fieramente sgraziati, supportati da suoni grezzi che fanno onore alla loro storia, John e Donald Tardy, Trevor Peres, Ralph Santolla e Frank Watkins portano avanti uno show la cui unica pecca è quella di concentrarsi troppo sugli ultimi due capitoli della loro discografia, trascurando colpevolmente due masterpiece del calibro di ‘The End Complete’ e ‘World Demise’ (mi sarebbe bastata anche una semplice “Don’t Care”). I brani più recenti provocano in ogni caso un bel macello nelle prime file, come testimoniato dall’esecuzione di “Slow Death” e “Evil Ways”, ma è soprattutto volgendo lo sguardo al passato che gli Obituary danno il meglio di sé e lo si vede chiaramente dalla reazione del pit alle prime note di “Turned Inside Out” e all’annuncio di “Slowly We Rot”, ultimo pezzo della serata. Quasi nulli dal punto di vista dell’interazione col pubblico (John Tardy, quando non canta, si limita a deambulare lungo il palco), i nostri si fanno perdonare con una performance tecnicamente irreprensibile, scarna come da copione, ma intrisa di quel feeling malsano e marcescente cui siamo stati abituati fin dagli albori della loro carriera. Un buon concerto in definitiva, che rivela come gli Obituary, tra gli autentici prime movers della scena death, siano un gruppo ancora valido, capace di reggere nel tempo facendo leva unicamente sulle proprie forze e su un’attitudine sfacciatamente antimodaiola, libera da qualsiasi condizionamento. Onore alla storia. Obituary Setlist: Find The Arise On The Floor Chopped In Half Turned Inside Out Threatening Skies By The Light Face Your God Lasting Presence Insane Black Inside Evil Ways Drop Dead Contrast The Dead Stand Alone Slow Death Second Chance Slowly We Rot
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