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LAMB OF GOD

E' un New Age pronto a ricevere, per citare i Superjoint Ritual, "A Lethal Dose Of American Hatred" quello che si presenta al folto pubblico venerdì 16 Dicembre. L'affluenza, vera incognita della serata, ha finito per rivelarsi davvero notevole, per la gioia di organizzatori e soprattutto band. Il primo gruppo a calcare le assi dello stage sono i THE AGONY SCENE, freschi di pubblicazione sotto Roadrunner del loro secondo album "The Darkest Red". Il quintetto può già contare su un buon numero di teste sotto il palco, inclusi un paio di fan scalmanati, e fornisce una prova potente e granitica incentrata per lo più sul già citato "The Darkest Red", dal quale sono estratte le potenti "Scapegoat", "Scars Of Your Disease" e la melodica "Prey", che se su disco è un buon brano e nulla più, dal vivo diventa un pezzo davvero irresistibile. Unica pecca della loro (breve) performance è stata una presenza scenica un po' acerba e troppo dimessa, che se ha consentito una esecuzione chirurgica, ha d'altra parte penalizzato il coinvolgimento complessivo. Ad ogni modo, più che convincenti. I DEVILDRIVER, creatura del carismatico e amatissimo Dez Fafara, erano attesi veramente da un sacco di persone, alla pari degli headliner Lamb Of God. Il passato coalchamberiano del singer italo-americano, sommato alla strabiliante qualità dei due dischi partoriti, ha sicuramente pesato sul successo del live act di stasera. Suoni purtroppo confusi e impastati che hanno incasinato diversi passaggi (cosa di cui le esibizioni di Agony Scene e Lamb Of God sono state prive), ma presenza scenica e tiro notevole, con Dez che entra sul palco sventolando un enorme tricolore e dà il via alle danze con "End Of The Line". Setlist spaccata a metà tra il debutto e il recente "The Fury Of Our Maker's Hand" e pubblico in visibilio durante "I Could Care Less", "Hold Back The Day", "Nothing's Wrong" e "Driving Down The Darkness", incalzato dal carisma interpretativo di Dez e dalle movenze selvagge del bassista Jon, uno che dovrebbe richiedere il porto d'armi per i capelli. Tra un siparietto dedicato a fare gli auguri proprio a Miller e una carellata di videocamera che immortala il pubblico per 'un prossimo dvd dei Devildriver', i cinque si congedano con onore lasciando soddisfatta ogni singola persona accorsa per loro. Come per i Coal Chamber, la classe non è acqua, e Fafara lo ha confermato senza tante storie. DEVILDRIVER setlist End Of The Line Nothing's Wrong The Mountain Grinfucked I Could Care Less Hold Back The Day Ripped Apart Driving Down The Darkness Meet The Wretched Un veloce cambio palco, allietato da un tizio della crew dei LAMB OF GOD che, probabilmente in preda ai fumi dell'alcol, si lascia andare ad apprezzamenti coloriti nei confronti delle ragazze italiane lascia il posto ai cinque macellai statunitensi, che annichiliscono subito il pubblico assetato di sangue con i primi due pezzi dal loro ultimo "Ashes Of The Wake", "Laid To Rest" e "Hourglass". Il sound è praticamente perfetto, compatto e fa male come una bacchettata sulle dita; Blythe è un vero ciclone, urla, sbraita e salta come una cavalletta sul palco mentre incita il pubblico totalmente in suo controllo. Una presenza scenica ridotta al minimo indispensabile per quanto riguarda gli altri membri (escluso il paffuto Willie Adler, prodigo di sorrisi e smorfie verso il pubblico durante tutto lo show), che compensano con una precisione strumentale sbalorditiva. Credo di poter affermare, senza troppe riserve, che i Lamb Of God siano l'unica band che è riuscita ad ereditare il sound al cemento armato che fu dei Pantera dell'epoca d'oro, dimostrandosi su palco una oliatissima macchina da guerra che non fa prigionieri. E del resto è davvero difficile essere clementi con l'audience quando si suonano pezzi del calibro di "11th Hour", "Ruin", "Omerta", la vecchia "Bloodletting" risalente al periodo Burn The Priest, il classico "The Subtle Arts Of Murder And Persuasion" e la commovente "Vigil", forse uno dei brani più belli che il metal moderno americano abbia sfornato negli ultimi anni. La folta audience trevigiana non fa mancare supporto alla band, visibilmente soddisfatta dell'accoglienza ricevuta e che non risparmia ringraziamenti e strette di mano. Il massacro si conclude con "What I've Become" e "Black Label", che lascia il posto alla visone del parterre del New Age, una sorta di campo di battaglia post atomico, dal quale un mio amico sbucherà e, sudato, spettinato e affannato come avesse corso la maratona, mi dirà semplicemente 'che macello', col sorriso sulle labbra. Ecco, questo è stato il concerto dei Lamb Of God. LAMB OF GOD setlist Laid To Rest Hourglass As The Palaces Burn Now You've Got Something To Die For 11th Hour In The Absence Of The Sacred Ruin Omerta Pariah The Faded Line Bloodletting The Subtle Arts Of Murder And Persuasion Vigil What I've Become Black Label

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