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JON OLIVA'S PAIN

Elvenking: Ad esordire sul palco del Rainbow questa sera tocca ai nostrani Elvenking che, dopo l'uscita del meraviglioso "The Winter Wake", riservano in me grande speranza per un loro roseo futuro. Ma purtroppo l'oramai collaudata formazione del post-split con il secondo chitarrista Jarpen calca un terreno difficile questa sera, complice la qualità del suono che risulta inspiegabilmente di bassa qualità rispetto agli standard del locale. L'iniziale assenza di volume ai cori di Aydan ed il continuo sali e scendi dei suoni degli strumenti di competenza ad Elyghen, violino e tastiera, snaturano la qualità dei vecchi brani ri-arrangiati per essere eseguiti con una sola chitarra. E dire che la band sul palco ci mette l'anima, capitanata dal suo frontman Damnagoras che questa sera è autore di un'ottima prestazione vocale e di una coraggiosa presenza scenica che cerca in tutto e per tutto di coinvolgere il pubblico. Si passa così da brani di punta del nuovo album come "The Wanderer" o "Trow's Kind" ai pezzi del "Wyrd" dell'ex-singer Kleid come "Jigsaw Puzzle" e la potente "Pathfinders". La chiusura è affidata alla titletrack del nuovo disco e a "Pagan Purity", oramai inno della band e unico brano eseguito da "Heathenreel". Gli Elvenking ci salutano questa sera consapevoli di aver svolto ottimamente il proprio lavoro, soddisfando il mio da "fans" ma lasciandomi l'amaro in bocca per la scadente qualità del suono. Scaletta: March Of Fools Jigsaw Puzzle The Wanderer The Silk Dilemma Trow's Kind Swallowtail Pathfinders The Winter Wake Pagan Purity Jon Oliva's Pain: Immenso. Non solo stilisticamente parlando, in effetti, vista l’incredibile mole che ormai da tempo Jon Oliva si porta in giro. Comunque sia, immenso. Sale sul palco col suo gruppo ed attacca subito con una splendida “Jesus Saves”, quasi a voler ricordare a tutti chi sia lui e di cosa sia capace, ed il pubblico, che durante l’esibizione degli Elvenking era un po’ sparuto, emerge dalla notte e si accalca, cantando, urlando, pogando, quasi come in un film, come non mi sarei aspettato vedendo il locale pochi minuti prima. E lui, sorridente come sempre, trascina tutti con le movenze di un ventenne sottopeso, come fosse ancora negli anni ’80 e potesse vantare il fisico dei tempi di “Hall Of The Mountain King” o “Power Of The Night”. Si mette in gioco, scherza e ride tutto il tempo, l’immenso omone con il camicione da over-sized che fa tanto sacerdote protestante, canta e intanto fa le smorfie; ed ammetto che, a vederlo così grosso, sudato e rosso in viso, a momenti ho temuto gli venisse un colpo. Ma no, lui continua imperterrito, con lo sguardo da bambino furbo ed il sorrisetto astuto, a tirar fuori una voce che ci si chiede dove la nasconda, ed una passione che infiamma gli animi. Certo, gli anni sono passati e mr. Jon deve usare non poco delay ed effetti vari per allungare gli acuti e gli screaming, ma per la miseria, direi che è più che comprensibile, ed anzi encomiabile, se paragonato a tanti suoi coetanei che ormai un acuto nemmeno provano più a lanciarlo. Band ottima, potente e tecnica, e con molta voglia di divertirsi. Eppure ogni commento sul gruppo e sulla sua prestazione viene come oscurato da un’immagine, quella di Jon “anch’io sono Italiano” Oliva che fa avanti e indietro dal proscenio alle tastiere, che fa gelare il sangue con una “Tonight He Grins Again” al limite del pathos più estremo, una “Believe” che ormai è divenuta un inno, una “Hounds” che porta tutta la carica ed il dolore della dedica all’angelo scomparso, suo fratello Chris. Scaletta incredibile, impressionante, in cui “Tage Mahal”, l’album solista di Jon, trova ben poco spazio, perché lui sa che il suo nome è legato a capolavori come “Gutter Ballet” o “Sirens”, fino alla chiusura con “Hall Of The Mountain King”. Certo, ormai mi aspettavo come ultimo pezzo “When The Crowds Are Gone”, grande assente della serata, ma la Sala del Re della Montagna non è certo una conclusione di cui lamentarsi. Poco meno di un concerto dei Savatage, in fondo, questo dei Jon Oliva’s Pain, ma anche molto di più: una serata con un artista profondo e vero, estremamente umano, sentito dal pubblico come uno di loro, fino in fondo. Il “Dolore di Jon Oliva”, forse, sul palco è finalmente in grado di placarsi, venendo condiviso e stemperato nell’affetto che ognuno di quei pazzi furiosi che si sgolavano davanti a lui gli ha portato. Ed io sono, e sarò sempre, orgoglioso di essere uno di quei pazzi. Perdonatemi dunque una banalità se, credendoci fin nell’intimo del mio essere, concludo questo piccolo ricordo di una serata musicale con una semplice ed arcinota, ma profondamente significativa, citazione dal repertorio di Jon Oliva:

I'll be right there I'll never leave And all I ask of you is Believe

Scaletta: Jesus Saves Agony And Extasy Tonight He Grins Again The Dark People Say – Gimme Some Hell Thorazine Shuffle Hounds Gutter Ballet Father, Son And Holy Ghost New York City Don’t Mean Nothing Believe City Beneath The Surface The Dungeons Are Calling Sirens Hall Of The Mountain King

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