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JON OLIVA'S PAIN

La prima cosa che si nota appena arrivati al Fillmore stasera è come, a dispetto della defilatezza del locale, il pubblico inizi ad essere presente fuori dall’ingresso fin dal tardo pomeriggio: ci si può a ragione aspettare una buona risposta, e questo è sicuramente un buon punto di partenza per la serata. La seconda cosa che si nota, passeggiando per il paese, è come ad ogni bar spicchino capelloni nerovestiti che hanno letteralmente invaso le strade. I pronostici continuano ad essere positivi. Si aprono le porte, comincia lo spettacolo. Ad aprire le danze tocca ai Masterstroke, che attaccano con un Power Heavy forse non dei più originali ma comunque ben scritto ed eseguito. Lascia un poco perplessi notare come a strofe poco convincenti seguano chorus con tutti i crismi: una strana altalena del coinvolgimento che ad ogni buon conto, nel complesso, serve adeguatamente al suo scopo. Il pubblico effettivamente risponde piuttosto bene, chi bevendo ai tavoli e chi avvicinandosi al palco, col risultato che il gruppo si porta a casa il suo bel carico di applausi ed i presenti, non tantissimi ma in lento aumento, cominciano ad essere in atmosfera. Seconda band a calcare il palco sono i Manticora, che pagano lo scotto del cambio di formazione rispetto ai precedenti performers: i suoni, più che adeguati durante i Masterstroke, scadono nettamente e vanno ricalibrati praticamente in toto. Questo significa che per i primi due pezzi i Manticora si sentono decisamente male, mentre per il resto del loro show raggiungono un livello sufficiente senza però mai ottenere risultati pienamente soddisfacenti. E’ un vero peccato, perché visto lo sviluppo sonoro della band negli ultimi anni sarebbe stato bello prendersi in pieno la botta di potenza (o violenza?) sonora di cui ora sono capaci; in ogni modo non sono comunque da scartare, anzi si difendono bene nonostante la resa non sia ottimale. Il pubblico sembra reagire in maniera piuttosto fredda, forse proprio a causa dei suoni non entusiasmanti, ma nel complesso il risultato è accettabile. Certo fa uno strano effetto vedere il secondo gruppo d’apertura ottenere risultati meno elevati del primo, ma così è: se ne prende atto, si apprezza ciò che c’è di buono, e via con l’attesa per l’arrivo di Jon. Pausa sigaretta, vediamo comparire il buon Mountain King e subito cominciano a girare i commenti più disparati: Jon passeggia con il bastone, e chi si chiede se voglia sfoggiare eleganza si sente rispondere che forse è ingrassato troppo. La curiosità del pubblico viene soddisfatta subito dopo l’inizio dello show: Jon si è lesionato un legamento, deve essere operato a giorni, e quello che sembrava un bastone da passeggio è in realtà una stampella. Big Jon sale comunque sul palco con la voglia di divertirsi, ed il pubblico, fedele come sempre (non molti gruppi possono vantare un affetto così forte da parte del pubblico come i Savatage e Jon Oliva in particolare) si assiepa sotto il palco, pronto a cantare a squarciagola per tutta la durata dello show. Come sempre, largo spazio verrà lasciato ai classici dei Savatage, ma rispetto alle sue ultime apparizioni soliste aumentano di numero i pezzi dei Jon Oliva’s Pain in scaletta; certo che, se si considera quanta parte di questi pezzi è stata ripescata dal materiale lasciato incompiuto dal compianto Chris Oliva, non è poi così diverso da un concerto dei Savatage, solo con una formazione diversa. Molte sono le pause: la voce di Jon sembra risentire del suo stato fisico, piuttosto rapido a stancarsi, ma da vero mattatore lui riesce a stemperare le sue riprese di fiato con chiacchiere, aneddoti ed amenità varie che fanno venir voglia di continuare a sentirlo parlare. Un menestrello nato, Jon incanta il suo pubblico e lo porta con sé attraverso la storia delle sue canzoni, della sua famiglia, dei suoi gruppi, ed il pubblico sta lì, inebetito e rapito, in ascolto quasi fosse ipnotizzato. Come già altre volte, l’elettronica deve venire ripetutamente in aiuto del Re (della) Montagna, soprattutto allungando gli acuti; ma non importa: l’entusiasmo è tale che nessuno se ne lamenta, e tanto è l’affetto dei suoi fans che quello che potrebbe essere uno spunto per una critica diviene invece motivo di orgoglio (“guardalo, non ce la fa più a cantare come una volta, ma sta comunque lì per noi”). Oggi questo effetto paradossale è anche più accentuato, perché le smorfie di dolore che a tratti distorcono il suo viso costringendolo a tornare a sedere gli conferiscono un aura di stoico eroismo: un uomo e la sua musica, un pubblico che si sente famiglia, una festa grandiosa nella sua intimità, risate e commozione: questo è stato il concerto dei Jon Oliva’s Pain. E nessuno si sarebbe aspettato nulla di meno. Sublime: non c’è altro modo di descriverlo. Sublime. Setlist Jon Oliva's Pain: Sirens Unusual Through The Eyes Of The King Maniacal Renderings Gutter Ballett The Hounds Firefly Tonight He Grins Again Jesus Saves Before I Hang Global Warning Chance O To G Believe Look At The World Adding The Cost Hall Of The Mountain King You Never Know

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