HYPOCRISY – SEPTICFLESH
Primo grande evento della stagione concertistica autunnale della capitale e quale migliore occasione per assistere al set di due band che, in maniera diversa, hanno fatto la storia del genere estremo. "Apertura delle danze" riservata ai finlandesi Horizon Ignited, gruppo di recente formazione con due soli album all'attivo tra melodic death metal e metalcore di cui l'ultimo 'Towards The Dying Lands' pubblicato questa estate dalla lungimirante Nuclear Blast. I nostri, si vede fin dalle prime note, sono giovani e volenterosi e si impegnano a fondo per convincere l'ancora esiguo pubblico presente all'Orion e i pochi coraggiosi sotto al palco sembrano apprezzare questa band tutto sommato derivativa ma a tratti godibile. Sicuramente i vecchi fan di In Flames e Soilwork avranno avuto diversi deja vu. Con i The Agonist inizia davvero la serata e anche la risposta di pubblico cambia. Capitatanati dall'avvenente cantante Vicky Psarakis e da una formazione ormai rodata nel tempo, il combo canadese parte subito all'assalto con il suo death metal melodico, infarcito di varie derivazioni stilistiche. E‘ proprio la Psarakis a guidare l'offensiva con potenza e passione, facendo risaltare la sua voce tra brutalità ed eterea bellezza. Gli intricati lavori di chitarra del duo Marino/Jobin fanno il resto. "Orphans" e "Days Before The World Wept" sono assolutamente gli highlights della serata ma la band ha costantemente interagito con il pubblico arrivando ad invitare sul palco il cantante degli Hideous Divinity, Enrico Di Lorenzo, per un apprezzato "cameo".
L’onore delle armi spetta ai greci Septicflesh i quali, fin dalle prime note, pareva non avessero effettuato un soundcheck appropriato poiché i suoni, oltre ad essere molto alti come volumi, fastidiosi e taglienti, erano privi dei bassi potenti e trascinanti che hanno caratterizzato il concerto di 4 anni fa in quel di Bologna. Mancava la cosiddetta botta che trasforma un live da normale ad epico. Gli ellenici non avevano mai calcato i palchi romani prima d’ora e si sono presentati sul palco privi del vestiario da cyborgs che solitamente esibiscono.
Il set ha avuto come protagoniste tracce estratte dagli ultimi 5 lavori, compreso il recente ‘Modern Primitive’ che da il nome al tour e dal quale hanno presentato “Neuromancer”, “Hierophant” ed “A Desert Throne”, ma ciò che lasciava esterrefatti era dato dal fatto che persino i sample (di cui fanno largo uso data la sinfonicità della proposta) e le backing vocals si udivano a malapena fin dalla opener “Portrait of a Headless Man”. Nonostante la scaletta fosse di primordine con i classici che non sono mancati, purtroppo tutto il set è stato penalizzato da quanto sopra lasciandoci alquanto interdetti e delusi oltre che dalla monumentale batteria degli hipocrisy che copriva metà palco ed il logo dei greci.
Contrariamente da quanto appena scritto, gli Hypocrisy, fronteggiati dal produttore discografico Peter Tatgren che tanti dischi ha contribuito a pubblicare grazie ai suoi studi di registrazione The Abyss durante la stagione d’oro del death metal svedese, ha tirato fuori un sound talmente perfetto che pareva di ascoltare un loro cd. Per il vocalist il tempo sembra non essere trascorso, stessa espressione maligna, stessi capelli e stessa voce che aveva fin da quando ha pubblicato i primi dischi. La carrellata ha pescato andando a ritroso nella loro discografia; son partiti dall’ultimo lavoro ‘Worship’ da cui hanno estratto la traccia omonima e la scurissima e minacciosa “Chemical Whore” per arrivare al primo degli zenith: “Mind Corruption” da ‘The Fourth Dimension’, saltano a piè pari fino ai primordi con la taglientissima “Inferior Devoties” da ‘Osculum Obscenum’.
Avanti ed indietro nella loro produzione per approdare ad uno degli apici del set “Until the End” con i suoi riff massacranti e le melodie maideniane sul finire della traccia; ci concedono un breve break con la cadenzata, melodica ed ispirata ‘Children Of The Gray’ seguita dalla violentissima “Warpath” una dichiarazione di intenti che non poteva essere altrimenti con i suoi riff batticarne ed accelerazioni furiose, per chiudere il set con la siderale 'The Final Chapter'. Arriva il turno degli agognati e facilmente intuibili bis: le tastiere a mò di sinfoniche sirene ammaliatrici e l’urlo belluino introducono "Fractured Millenium" da 'Hipocrisy' con quell’imminente senso di minaccia dietro l’angolo.
Segue la thrashy e rozza ‘Impotent God’, ‘Adjusting The Sun’ ci scarica groove e riff tritaossa addosso facendo scatnari il pubblico in un furioso headbanging prima dell’apoteosi finale ‘Roswell 47’ caratterizzata da mid tempo epici su tematiche di abduzioni aliene e quel climax di pericolo incombente dato dalle chitarre taglientissime e dai riff sinistri. E se ne andarono felici e contenti...a metà.
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