FOLKSTONE
Un fulmine a ciel sereno. È stata questa la sensazione che ha pervaso la totalità dei fan dei Folkstone, di gran lunga la più importante e blasonata folk metal band italiana, appena saputa la notizia del loro scioglimento. In quindici anni di carriera, e soprattutto dal 2008, anno di pubblicazione del debutto discografico omonimo, questi scalmanati ragazzotti della Bergamasca hanno invaso i palchi di tutta Italia (e non solo) a suon di scorribande impetuose, con le loro caratteristiche cornamuse ed i loro fiati, con il loro metal impattante che trasuda voglia di vivere e di divertirsi, sempre alla larga da scontati luoghi comuni e tenendo accesa la fiamma anarchica, senza porsi dei confini prestabiliti o imposti. Il tutto sempre con il boccale di birra in mano, perché ogni concerto dei Folkstone è un brindisi collettivo, oltre che l’apoteosi del sudore. Rilasciato quasi a sorpresa l’ultimo album ‘Diario di un ultimo’, la band ha subito dei cambi importanti di line-up, che probabilmente hanno minato il buon equilibrio e l’armonia del gruppo. Dopo aver affrontato una serie di date estive, in cui la risposta è stata sempre buona, ma mai incandescente come nel recente passato, qualche settimana fa è arrivata la sofferta decisione di chiudere in bellezza un’esperienza che segna la vita. I Folkstone salutano i loro imperterriti seguaci con una serie di date nelle più importanti venues italiane, compreso l’Alcatraz di Milano, che nella serata di mercoledì 23 ottobre si presenta bello caldo, per salutare “Un’altra volta ancora” la ciurma orobica.
Si affievoliscono le luci sul palco ed il pubblico si accende in un boato, quando il batterista Edo Sala si posiziona e, ad uno ad uno, gli altri componenti si presentano imbastendo le note di “Diario di un ultimo”, ed è subito bagarre sul parterre, con ragazzi già a torso nudo carichi a mille a pogare a tutta forza. In quest’atmosfera il cantante Lorenzo Marchesi va a nozze, ed ha tutta l’intenzione di non dare spazio a inutili sdolcinamenti, ma vuole essere un fuoco che si accende. Stessa cosa si può dire per l’anima festaiola di Roberta Rota ad una delle cornamuse, in quella sera con dei dread particolarmente eleganti e fluenti, che sentono l’importanza della serata. Si continua con “I miei giorni”, a personale avviso uno dei migliori brani in assoluto dei Folkstone, una sorta di ringraziamento ad una carriera piena di sacrifici e di soddisfazioni, di sbattimenti e di spensieratezza, con il suo ritornello che sintetizza appieno tutti gli anni appena trascorsi in mezzo alla gente. Ma è quando la band inizia sfornare i suoi classici che il pubblico si infiamma come un vulcano. “Frerì” smuove incessantemente la platea, e la stessa atmosfera la si percepisce, senza sosta, con pezzi come “Nebbie”, “Frammenti” e “In caduta libera”, con relativo omaggio e sostegno alla popolazione curda in lotta contro il regime turco e un sistema che troppo opprime, fatti durante l’arrembante “Scintilla”. Dal punto di vista dell’equilibrio della band, si è sempre notato un buon affiatamento, con i membri di più recente inserimento che si sono comportati all’altezza della situazione, giocando di esperienza e di ardore. E intanto, tra mosh-pit innumerevoli e crowdsurfing quasi come al Wacken, si continua con i grandi classici, come l’immancabile “Folkstone”, che è stato il biglietto da visita perfetto per farsi conoscere al pubblico. E un altro must che non è mai mancato ai concerti è l’interpretazione di Roberta di “Un’altra volta ancora”, un inno al devasto alcolico, condiviso in passato con la ex arpista Silvia Bonino e i loro headbanging finali, ed ora condividendo lo sbattere di piatti con Edo Sala, il tutto sulle note danzerecce dei fiati medievali del resto della band.
Dopo l’epica “Rocce nere”, cantata a squarciagola dal pubblico, i Folkstone si concedono una prima pausa, tornando poi più determinati che mai sfornando un’ulteriore serie di carte importanti, come “Prua contro il nulla”, accompagnata come sempre dal pubblico che diventa una grande ciurma che si prodiga a remare controcorrente, incalzata con un ritmo incessante dagli scagnozzi della nave. “Con passo pesante” è un’altra pietra miliare della band, che per l’occasione vengono amichevolmente accompagnati dal fido Gian Mario Monzani, ex voce dei Ci Dodici, condividendo la voce con quella di Marchesi. Quest’ultimo, dopo due ore buone di live, si rende assoluto protagonista per il gran finale di serata, imbracciando una chitarra acustica e interpretando una toccante versione in acustico di “Luna”, unico brano in dialetto bergamasco della loro discografia, che ha coinvolto tutti i presenti.
È davvero un peccato (a meno di clamorosi ripensamenti) che una band così lasci le scene. Forse le idee saranno venute meno, forse l’avvicendamento di alcuni componenti ha disallineato la loro armonia, ma ciò che è sempre rimasta è la passione nel raccontare le classiche storie da bar, davanti a boccali di birra, con un ideale unico: quello della libertà.
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