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DEATH IN JUNE

Quale miglior regalo per il proprio compleanno (il mio) se non quello di andare a vedere il concerto/evento dei Death In June? Ebbene si, non potevo proprio mancare perchè il live in questione è uno di quegli eventi che con molta probabilità capità una sola volta nella vita visto che la band non è molto avvezza a tournee. Premetto che la scelta del locale rapportato al genere di musica (prettamente acustica) non è dei più adatti; per combattere il caldo derivante dalla mole di pubblico intevenuto (non poteva essere altrimenti, vista la portata dell'evento si sono date appuntamento tutte le orde oscure del centro sud amanti della band e aggiungo anche curiosi), i ventilatori sono rimasti accesi per tutto il concerto generando un rumore di fondo assordante che per poco non copriva il suono della chitarra acustica. Cercherò di essere quanto più distaccato ed imparziale possibile nel narrare le gesta sul palco di Douglas Pierce, premettendo che ho abbandonato la band dopo l'uscita di 'Brown Book' (1988). Presentatosi sul palco con la classica maschera bianca, che da sempre incarna il simbolo della band, ed un giubbotto a vento bianco, accompagnato dal fido percussionista Patrick Leagas, hanno dato inizio al concerto con due brani proto-industrial sulla scia di quanto fatto in passato da band quali Test Dept, per poi spogliarsi da maschera e giubbotto e dimostrare che il tempo è passato lasciando evidenti segni sul suo viso. Da questo momento ha inizio la nenia che si è protratta costantemente tra tracce vecchie e nuove ("Leper Lord", "Fields Of Rape", "All Pigs Must Die") senza un cambio di registro, senza un cambio di marcia, di arpeggio, di impostazione vocale (più che cantare narra eventi, a volte anche in maniera stonata, e di tanto in tanto lanciava qualche urlo in stile country forse per innalzare la curva dell'attenzione che tendeva a scendere), e qui subentra una considerazione del tutto personale; se la band in studio è dotata di basso e tastiere, la stessa formazione deve essere portata in sede live perchè si stravolge il sound e la vedo anche come una mancanza di rispetto per i fan che lo segueno da molti anni. E pensare che ha saccheggiato quasi totalmente 'Nada' (una delle migliori opere) senza proporre quello che a mio modesto avviso è il miglior brano del disco: "The Calling", ma il buon Douglas non è stato dello stesso avviso continuando ad incedere alla stessa velocità fino al penultimo brano del set: "She Said Destroy" che ha una forma canzone più orecchiabile con una netta variante sul resto dei brani precedenti, e proseguendo con "Fall Apart" altro brano degno di menzione grazie alla netta differenza strutturale rispetto al pregresso del live. Probabilmente gli devono aver fischiato le orecchie perchè nei bis ha proposto quanto di meglio la sua produzione ricordi, tra i quali "Destroy Heaven" che se fosse suonata con chitarra elettrica sarebbe sicuramente metal. Per fortuna che queste cose capitano solo una volta nella vita.

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