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BRING ME THE HORIZON

Attesi al varco da molti sia sul fronte live che su quello delle uscite discografiche, i Bring Me The Horizon fanno tappa al New Age, seconda data italiana di un tour europeo non troppo corposo. L’affluenza sarà buona, con ciuffi emo dappertutto, anche se il numero inferiore (prevedibilmente) a quello del concerto degli Underoath. Ad aprire il package ci pensano gli IGNOMINIOUS INCARCERATION, freschi di contratto con la Earache (per la quale rilasceranno il loro debutto agli inizi del 2009), autori di un deathcore abbastanza standardizzato, che però si fa quantomeno ascoltare, anche per merito di ottimi suoni. Non che ci sia granchè da dire, i ragazzi se la cavano, ma la noia prevale dopo pochi pezzi, e se non altro gruppi del genere hanno il pregio di far apprezzare sonorità di un certo tipo ad un pubblico che spesso non va oltre la strofa screamo e il ritornello pop. A seguire la sorpresa della serata, gli australiani DEEZ NUTS, autori di un rapcore che rimanda direttamente ai Bio Hazard degli anni d’oro, quando ancora Seinfeld doveva scoprire il mondo della pornografia. Un concerto breve, ma assolutamente travolgente, ricco di attitudine e con ritornelli gang vocals che si potevano cantare al secondo giro. Da tenere d’occhio, assolutamente. Cambio palco veloce e salgono on stage i THE RED SHORE (confusi praticamente da tutti con i più celebri The Red Chord), con un deathcore tecnicissimo che mischia il meglio, o il peggio a seconda dei gusti, di tale genere, grugniti, pig squeals, breakdown e chi più ne ha più ne metta. Stessa solfa degli Ignominious per quanto mi riguarda; bravissimi, soprattutto a livello tecnico, ma è davvero difficile lasciarsi trascinare dopo una decina di minuti. E sulle urla di ragazzine e ragazzini (ma non solo, per fortuna) appaiono finalmente i BRING ME THE HORIZON, che aprono le ostilità sulle note della nuova "The Comedown", opener del nuovo, ottimo 'Suicide Season' (che dimostra come Sykes e compagni siano tutt’altro che un fuoco di paglia). La band è carica, e le voci che davano Oliver come sfiatato vengono abbastanza smentite. Abbastanza perché i suoni sono un marasma indecifrabile di casino, e quindi la voce del tatuato frontman sia difficile da cogliere. Però la band si fa in quattro per coinvolgere, salta, Sykes si butta sul pubblico e non sta fermo un minuto da vero istrione, consapevole di avere l’audience in mano. Una buona setlist che ha compreso pezzi di valore come "For Stevie Wonders Eyes Only", "Braille", "Chelsea Smile" e "Diamonds Aren’t Forever". Peccato per la durata davvero esigua (quaranta minuti contati) e per la mancata esecuzione di "It Was Written In Blood", il cui straziante finale si adatta al palco al 100%.

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