THE TANGENT: II: THE WORLD THAT WE DRIVE THROUGH
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04/10/2004Nuovo capitolo per questa band formata dall'unione di membri tra due delle band più accreditate degli ultimi anni in ambito prog rock: The Flower Kings e Parallel Or 90 Degrees, svedesi i primi, inglesi i secondi. "The World That We Drive Throught" è il loro secondo disco, dopo l'esordio avvenuto lo scorso anno intitolato "The Music That Die Alone". Ovviamente, date le caratteristiche delle band da cui provengono, la materia trattata è il prog rock, essenzialmente quello di scuola anglosassone che fa della ricerca melodica e del romanticismo sonoro elementi preponderanti nella fase di scrittura(Pendragon e IQ su tutti). Ciò che convince, però, di questo progetto, è il non limitarsi a proporre la stessa, identica musica già composta con le band d'appartenenza. Infatti, sui tappeti progressivi già descritti si muovono spesso lunghe improvvisazioni dal retrogusto chiaramente fusion, incursioni di flauto che ad onor del vero ricordano l'utilizzo che ne fa Anderson nei Jethro Tull ad opera di Theo Travis, solista con all'attivo diversi dischi, nonchè presente sporadicamente ma nei momenti giusti anche con il sax che aggiunge un fascino quasi esoterico ai cinque movimenti che di per sé, a tratti, fanno già sapiente uso di minimalismo e di quasi silenzio sonoro. Nulla è messo lì per caso, niente sproloqui strumentali per evindeziare probabili bravure tecniche, né sbavature nella struttara dei brani che spesso e volentieri, in diverse altre band, arrecano confusione e sconcerto all'ascoltatore quando predomina l'istrionismo fine a sé stesso. "The World That We Drive Throught" è un percorso creativo funzionale all'idea di base del genere suonato, sa essere progressivamente classico e spudoratamente improvvisato allo stesso tempo, e senza mai scadere nel plagio, né tantomeno nel furbo accademismo professorale. C'è equilibrio, c'è talento, classe, personalità di musicisti che svolgono un ruolo importante all'interno di un panorama sempre in fibrillazione come Roine Stolte, Guy Manning ed Andy Tilson. C'è quel leggero senso di perfezione mancata e che mai si raggiunge, e che per questo stesso motivo rende un'opera completa, provvista anche del suo limite: cio che rende davvero liberi, e di riflesso, cio che rendo grande un disco(nel nostro caso).
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