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SPIRITS OF FIRE: Spirits Of Fire

data

27/02/2019
72


Genere: Heavy Metal
Etichetta: Frontiers Records
Distro:
Anno: 2019

Quando personaggi dal background artistico di spicco che hanno più o meno segnato le sorti dei loro gruppi di appartenenza, o dove hanno prestato i loro servigi decidono di mettere a frutto assieme le  loro forze, in questo caso Tim Owen, Chris Caffery, Steve Di Giorgio e Mark Zonder, è lecito crearsi tanto delle aspettative quanto dei dubbi. Si tratta di una ulteriore effettiva valorizzazione delle loro capacità o qualcosa in cui prevale l'aspetto economico o di marketing? A toglierci il dubbio è la nostra label Frontiers che si è occupata della pubblicazione del debut di questi Spirit Of Fire, e dall'ascolto possiamo subito evincere che l'omonimo cd si rivela senza alcun dubbio un lavoro di sostantza, beneficiato dalla notevole produzione da parte di Roy Z, in cui si distinguono le influenze delle band madri quali i Judas Priest più thrasheggianti, i Savatage più elaborati e le particolari architetture prog dei Fates Warning per un risultato complessivo di qualità più che buona, canzoni ben strutturate anche di una certa complessità tecnica dove non manca comunque la potenza e la solidità senza  arrivare a qualcosa di così memorabile, di fatto un compito assai ben eseguito ma non particolarmente ricco di spunti fantasiosi in cui si evidenzia una certa discrepanza fra la prima parte, estremamente positiva e la seconda parte in cui affiorano diversi cali di tensione: nulla che possa nuocere alla riuscita del progetto ma che di fatto impedisce di arrivare ai vertici della categoria. Effettivamente se si analizzano brani quali la thrashy "Light Speed Marching" dall'approccio priestiano, "Temple Of The Soul" più ricca di groove e la title track dalle sfaccettature più seventies sono l'emblema della forza e della classe di questi performer la presenza di momenti come la dilatata "A Game" o la finale "Alone In The Darkness" non rendono giustizia alle loro abilità mostrandosi piuttosto anonime, magari non scialbe ma carenti di quella spinta propulsiva che non permette a queste tracce di decollare anche se l'unico brano veramente negativo lo segnaliamo in “It’s Everywhere”, la classica buccia di banana della banalità. Insomma, un lavoro con parecchie lodi che mostra questi musicisti in un buono stato di forma ma che, fatta eccezione per Tim Owen sempre sul pezzo, a volte danno la sensazione di peccare di superficialità sul piano compositivo e ciò francamente lascia un pizzico di amaro in bocca.

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