SILVER KEY: IN THE LAND OF DREAMS
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20/12/2012Gruppo milanese attivo da molti anni (partito agli inizi come cover band dei Marillion), pubblica nel 2012 'In The Land Of Dreams', un disco che fin dalla copertina molto fumettosa (disegnata da Claudio Bergamin) promette sicuramente bene! L'idea di partenza dei Silver Key deriva da un racconto dello scrittore americano H.P. Lovecraft, il quale citava questa cosiddetta "chiave d'argento", uno speciale oggetto che permetteva a chi lo possedeva di accedere al regno dei sogni (la Dreamlands per intenderci). Effettivamente quest'idea di partenza si materializza piuttosto bene all'interno dei brani di questo lavoro che, per tutta la sua durata, presenta influenze piuttosto importanti riconducibili soprattutto a gruppi del calibro di Marillion (evidenti soprattutto nelle tastiere del bravo Davide Manara), Genesis e Yes, mentre la voce di Yuri Abietti, oltre ad essere piuttosto caratteristica, ricorda più di una volta il miglior Bernardo Lanzetti. Il brano di partenza "In The Land Of Dreams" è sostenuto da ottimi fraseggi tastieristici, e da aperture melodiche molto cristalline dove la voce del cantante riesce già dai primi minuti a caratterizzare in modo deciso il sound della band. Da segnalare il finale del brano molto più rock e con il chitarrista Carlo Monti sugli scudi. "More Than I Can" inizialmente presenta un sound molto sofferto e introspettivo, con il basso che accompagna la voce soffusa del cantante, per poi acquisire una piega più rock e sinfonica con riff chitarristici avvolgenti e tastiere sempre molto protagoniste all'interno degli arrangiamenti. Atmosfere sottilmente gotiche e notturne nella successiva "Learn To Let Go" che al tempo spesso possiede un groove (ricostruito egregiamente da tutti gli strumenti) ritmico non indifferente con conseguente assolo blues centrale, mentre con "Millenium" ci ributtiamo di nuovo nelle atmosfere dei Marillion (sembra quasi una loro rivisitazione di "He Knows you know" del già citato gruppo di Fish), con atmosfere sempre molto introspettive e conseguenti slanci tastieristici e chitarristici sempre molto ben congeniati. Oltre a questi quattro brani il disco presenta una lunga suite di circa trenta minuti, suddivisa però in tracce separate. La suite in questione presenta molteplici sfaccettature, passando da momenti più agitati, epici e decisi come "The Gaunt Man", o "The Running Kid", jazzati in "The Guardian Of Seventh Seal", dolci e atmosferici in "Dim Carcosa" (davvero molto toccanti le melodie), o nella finale "Welcome", un vero tripudio di melodie avvolgenti e malinconiche.
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