SCORN: VAE SOLIS
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01/05/2005Dopo la sua dipartita dai Napalm Death il poliedrico e geniale Mick Harris fondò gli Scorn e chiamò con sé quella che era la line up dei ND che aveva registrato il lato A dell'album 'Scum' nel 1987, ossia Justin Broadrick alla chitarra e Nick Bullen alla voce. Di comune con l'album sopra citato troviamo sicuramente la stessa ignoranza, lo stesso voler andare "contro" a testa bassa e la stessa visione negativa delle cose. Tuttavia le analogie finiscono qui, perché musicalmente la furia sociale espressa dal grindcore grezzo e in nuce di 'Scum' diventa un qualcosa di più intimo e riflessivo, un lento e apocalittico declino verso il nulla, in cui l'industrial più pesante e melmoso stringe la mano all'ambient più oscuro. Si sentono echi di gruppi come Killing Joke e Ministry su tutti, ma il risultato finale è assolutamente originale, ben congeniato e ottimamente strutturato. 'Vae Solis' è un autentico viaggio attraverso il gelo delle macchine, il fetore delle ruggine, lo stridio delle ferraglie, un itinerario disumano in cui prevalgono la desolazione, l'alienazione, la disperazione. Un album post grind, post metal, post industrial, post TUTTO. Interessante è notare che Mick Harris, vera anima del progetto Scorn, dimessi i panni del furioso batterista dei Napalm Death, pur non abbandonando del tutto il suo strumento, decide di guardare avanti e di esplorare i lidi dell'elettronica, synth e samplers; Nick Bullen mette l'ugola al vetriolo e il basso distorto. La sua voce effettata e riverberata dai mille e diversi effetti si contorce e reitera in vortici di disperazione e nichilismo: che si tratti di growl o di un cantato pulito, l'effetto è annichilente. Il pulsare ipnotico del suo basso è invece l'ossatura portante del sound. Infine troviamo Justin Broadrick, (qui come ospite), che presta il sound sporco e pastoso dei suoi Godflesh ai due ex-commilitoni. Possiamo quindi assistere a momenti più tirati (dove Mick harris rispolvera certe soluzioni adottate in passato con i ND), altri più lenti, ai limiti del doom più claustrofobico, rumori inquietanti, voci campionate, inserti di elettronica minimale, aperture ambient di grande inquietudine: tutti elementi che vanno a comporre un incubo in cui è impossibile intravedere via d'uscita. Come non poter citare i ritmi sostenuti e i suoni sporchi di "Walls Of My Heart" e "Lick Forever Dog" (dove è presente addirittura una parte in blast beats) alla cacofonia insopportabile del doom calustrofobico e disturbante di "Thoughts Of Escape". Sicuramente difficile da digerire a chi non ha apertura mentale e una buona dose di pazienza, ma di certo un capolavoro assoluto che scavalca senza problemi tutti i cliché della scena di appartenenza ed innalzarsi allo status di esempio da seguire.
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