QUICKSAND: Interiors
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03/01/2018Chi ha vissuto gli anni ’90 americani e non solo a scorrazzare con lo skate tra i playground e i parchetti di periferia, con berretto e camicia a quadri di ordinanza, e con lo stereo che risuonava a palla le note di un rock underground che raccontava l’inquietudine giovanile, appena si è udita la voce del ritorno discografico di una tra le band icona del post-hardcore di quegli anni, e cioè i newyorkesi Quicksand, di colpo è ricomparsa la grande voglia di rivivere quegli anni di spensieratezza e di disagio messi insieme, all’esterno da tutte le fastidiose dinamiche che il lavoro, la famiglia e la società potevano dare come influsso negativo. Il ritorno sulle scene dei Quicksand giunge quindi dopo ben 22 anni da quello che era rimasto il secondo album della band di Walter Schreifels e Sergio Vega, ‘Manic Compression’, e il sound ruvido che imperniava sia quello che il debutto ‘Slip’ si fa molto più levigato ed arioso nell’album dell’atteso coming back, ‘Interiors’, che vede uno Schreifels che sfodera una voce che trasuda autenticità e sincerità a palate. A ciò si aggiungono parti di chitarra sia sue che di Tom Capone, a cavallo tra l’old style e le produzioni più recenti, che a tratti rivestono un sound dai contorni vagamente space come in “Under The Screw” ed in “Warm And Low”, e comunque sempre vivamente presenti e coinvolgenti. Si diceva quindi di un senso di ribellione e di sfrontatezza più levigato e ritoccato, che si accompagna, quando giunge il momento, ad un senso di velata nostalgia presumibilmente dei tempi andati, che Schreifels cerca di farne memoria guardando la natura che si esprime ed emerge fuori da un’ipotetica finestra, come quella che viene rappresentata in copertina. Uno stato nostalgico e quasi romantico che viene espresso in due brani come “Cosmonauts” ed “Interiors”, dove viene fuori lo Schreifels più intimo e raccolto, che esprime però ancora la voglia e la gioia per quello che fa. In tutto l’album, comunque, non manca la vitalità, che è ben presente sotto diverse sfaccettature: da quella più grintosa che ricade in brani come “Illuminant” e “Fire This Time” in cui si sente un sound chitarristico molto verace dal sapore altamente alternative, a quella più riflessiva che si assume come momento di rigenerazione, grazie a brani come “Cosmonauts”. I Quicksand sono tornati mantenendo la sostanza che era loro proverbiale sin dagli esordi, ed a cui si è aggiunta, per merito dello scorrere degli anni, una leggera parsimonia nell’affrontare sia i temi trattati nelle liriche, che nella ricerca del sound, che è risultato essere indirizzato verso sintonie ed atmosfere più vicine ai giorni nostri, e quindi maggiormente dilatate e mentalmente più ragionate, mantenendo comunque come base ispirazionale l’essenza primordiale e viscerale degli anni passati. In ogni caso, un graditissimo ritorno per chi vuole estirpare qualche annetto dalla carta d’identità, e vuole rivivere i pomeriggi con lo skate non disdegnando di alzare il dito medio quando è il momento.
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