MESSA: Belfry
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02/05/2016Da quale oscuro anfratto siano spuntati fuori questo è un mistero, tanto quanto avvolta nel mistero e nell'esoterismo è la musica proposta dai Messa, compagine tutta italiana al primo loro debutto discografico. La band rappresenta il prodotto di una somma di svariate influenze musicali ed esperienze maturate da ogni singolo componente in formazioni passate. E il background è piuttosto ricco e variegato, considerando che i membri di questa oscura brigata hanno militato in formazioni che spaziano dal rock/heavy (i The Sade) al grindcore (Restos Humanos) fino al black metal (Nox interitus). Insomma, di carne a cuocere ne abbiamo tanta e basta ascoltare questo 'Belfry' per averne la conferma. Il disco si apre con una traccia intro, "Alba", dalle sonorità puramente drone/ambient, brano che ci conduce all'interno di questo abisso sonoro nel quale ci attende Babalon: quale personaggio più indicato della "donna scarlatta" per iniziare questa avventura in quello che la band definisce "Scarlt Doom"? In effetti il doom settantiano, figlio dell'influenza sabbathiana c'è tutto, fin dalle prime note scandite ed articolate in un roccioso riff di chitarra che lascia scivolare il brano in una lentezza voluttuosa dove il ruolo da protagonista è svolto più che egregiamente dalla voce di Sara, oscura, affascinante, ammaliante e ben coadiuvata da una produzione di alto livello, dove il riverbero cavernoso gioca un ruolo essenziale, donando ai pezzi un sound claustrofobico e chiuso. Nella seconda canzone troviamo uno dei tre intermezzi del disco, insieme a "Tomba" e "Bell Tower". Come nell'intro, questi intermezzi sono caratterizzati da sonorità più minimalistiche che si legano saldamente ai brani creando un discorso unitario, una esperienza sensoriale che mantiene alta la tensione per tutto il disco. Suscita particolare interesse la quinta traccia del disco che, pur muovendosi su territori già esplorati nei precedenti brani, dove le chitarre dai suoni baritonali giocano un ruolo da protagonista, ci offre una sonorità più particolareggiata, più ricercata ed originale con riff orientaleggianti ed un gustoso intermezzo dalle influenze jazz. Le sorprese non finiscono di certo tutte qui, la band dimostra ancora una volta la sua poliedricità sonora piazzando una tripletta che, seppur seguendo il medesimo filo conduttore, si differenziano tra loro per influenze. La prima di queste di è la epicissima "New Horns", figlia illegittima di Quorton, mastermind dei compianti Bathory del periodo 'Hammerheart', di certo uno dei pezzi di maggior spessore emotivo. A seguire troviamo "Outermost", doom pachidermico che incede a passi pesanti con i suoi accordi sospesi nel vuoto, via fino alla conclusiva "Confess", una ballad acustica che richiama il "discorso" epico proposto in "New Horns" e lo mescola al rock/folk di matrice più classica. Un disco sicuramente variegato nelle sfumature, che si fa ascoltare con curiosità e che denota una rielaborazione personale ed originale delle più svariate influenze musicali. Se questo è lo Scarlet Doom...a noi piace.
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