KK'S PRIEST: Sermons Of The Sinner
data
29/10/2021La nuova band di KK Downing, storico ex chitarrista dei Judas Priest che ha chiamato a sè un altro "ex di lusso" come Tim "Ripper" Owens dietro al microfono, è un concentrato di tutti i clichè che hanno identificato l'heavy metal da sempre nei testi, nel rifferama e nelle linee melodiche. Se quest'operazione (Nobile? Non nobile? Ma chi se ne frega!) fosse stata a carico della milionesima band di sbarbatelli che invadono il mercato, sarebbe finita nel dimenticatoio in fretta, nonostante la sua bontà, ma se l'autore del disco è colui che ha contribuito a forgiare e codificare gli aspetti sopra nominati, allora il discorso cambia, perché parlare di sonorità "derivative", "tribute band" o "band clone dei Priest", fregnacce che sto leggendo a più riprese da tempo, farebbe ridere anche un branco di polli depressi. Di cosa accusate il chitarrista settantenne, di non aver fatto un bel disco di industrial glam con atmosfere viking? O di thrash prog con influenze djent/fusion? Dai, su, facciamo i seri. La domanda su quest'album è un'altra: il songwriting, nel classico stile priestiano, è ispirato, valido, efficace? Funziona??? E la risposta è una sola: assolutamente si (per i miei gusti, ovviamente). Ammetto che i singoli iniziali non mi avevano del tutto convinto, complice una prestazione eccessivamente "gallinesca" di Owens, ma calati nel contesto del disco intero diventano assolutamente gradevoli anche loro, mazzate heavy metal che fanno da contraltare ad altri brani veramente belli come "Sacerdote Y Diablo", "Metal Through And Through", "Hail For The Priest" o "Return Of The Sentinel". La band, tra l'altro, dice la sua in maniera decisa, grazie ai bellissimi assoli incrociati della coppia Downing/Mills e all'ottima prova della sezione ritmica con Tony Newton al basso e Sean Elg (sostituto dell'atteso Les Binks) alle pelli. Quindi, al netto dei sacrosanti gusti personali, spiace come al solito leggere velenose stroncature di gente che poi parla anche fieramente male del disco, perché queste 10 tracce crescono ascolto dopo ascolto, mostrando varietà e carattere, pur rimanendo nei rigidissimi canoni del genere. C'è poco da fare: la ricetta, se il cuoco è ispirato e viene cucinata da chi il piatto l'ha inventato, ha tutto un altro "sapore". Se amate il Priest sound e non vi fate troppe "pippe mentali", fate vostro questo disco.
Commenti