CHASTAIN: We Bleed Metal
data
24/12/2015A volte ritornano, è il caso di dirlo, dopo aver attraversato anni, separazioni ed evoluzioni, la formazione quasi riunita al completo da alla luce, dopo 'Surrender To No One', questo secondo album post reunion: 'We Bleed Metal'. Il disco parte in maniera poco convincente, la title track di certo non apre al meglio le danze, il ritmo appare un po' fiacco, stanco, ripetitivo, dando l'impressione di non riuscire mai a decollare, viaggiando con il freno a mano tirato, di certo il capitolo meno riuscito del platter. Il decollo è però solo posticipato, e di poco, a scaldare la pista ci pensa 'All Hail the King' dove la sempre aggressiva Leather sfoggia un'ugola da far invidia al blasonato Rob Halford. L'età non sembra aver intaccato oltremodo le sue doti e la sua timbrica, forse in questo disco più graffiante e ruvida rispetto al passato, ma capace di trasudare rabbia e intensità da ogni singola nota intonata, probabilmente una delle poche cantanti donne che è a suo agio in territori puramente heavy metal. L'intero disco ruota intorno ad una spirale che alterna la tradizione heavy con la modernità, non a caso troviamo tracce quali "Search Time For You" che con il suo ritmo cadenzato e cantilenante ci rimanda ad un riffing di ispirazione sabbathiana mentre la traccia numero 9 del platter, "Secrets", ci trasporta in territori più moderni, dal sapore quasi orientaleggiante, con innesti sonori molto anni '90 e similitudi con il periodo 'Black Album' dei Metallica, in particolare con il brano "Wherever I May Roam", quantomeno per quanto riguarda la sezione ritmica. I neoclassicismi e il puro shredding in voga soprattutto negli anni 80 e che aveva contraddistinto i lavori precedenti della band, uno su tutti, "Ruler Of The Wasteland", viene messo un po' da parte dall'axeman e mastermind David Chastain, e concessi a piccole dosi come nell'intro di "I Am A Warrior". Con questo non vogliamo dire certamente che Chastain abbia offerto una prestazione calante sulla sei corde, affatto, ancora una volta dimostra la sua tecnica con assoli al fulmicotone e taglienti come lame. Si sottolinea altresì la prova magistrale di Stian Kristoffersen dietro le pelli, che con il suo drumming (e grazie anche sicuramente alla buona produzione) conferisce al disco quell'aura di modernità di cui si parlava. In sostanza il disco si presenta come un buon compromesso, una sapiente commistione capace di accontentare i "defender", legati ad una tradizione heavy più classica e i fan più giovani, o comunque legati a sonorità più moderne.
Commenti