BURTNIK, GLEN: WELCOME TO HOLLYWOOD
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19/07/2004Glen Burtnik è un grande artista. Un rocker coraggioso e libero che si esprime attraverso una sensibilità non comune. Coraggioso perchè la sua musica, seppur accessibile ed avente come base le radici del rock americano, è un continuo contaminarsi all'interno di un genere, il melodic rock, spesso troppo tradizionalista e poco incline al cambiamento. Libero perchè ha sempre suonato la musica che ha scritto, senza condizionamenti e con un equilibrio a dir poco inaspettato in quanto non è mai facile capire fin dove potersi spingere senza mai snaturasi, senza mai perdersi in filastrocche strumentali convulse, algide ed apatiche. Detto questo, "Welcome To Hollywood" è un grande disco. Più duro e vario rispetto ai suoi due ultimi dischi in studio, più AOR oriented. Figlio del New Jersey, bonjoviano mancato(declinò l'invito di Jon ad entrare a far parte della prima incarnazione della band), Glen ha confezionato un disco che farà, si spera, fintanto l'ottusità di gran parte degli ascoltatori della musica rock aprirà occhi ed orecchie(e non si tratta di stitici ed inopportuni quanto inutili discorsi sull'essere o meno delle menti aperte, ma di Musica ben oltre la concezione di genere) parlare di sè a lungo. Sedici brani, gran parte canzoni, altri, inceve, intermezzi strumentali che fanno da collante tra un song e l'altra. Sedici brani che nel loro essere squisitamente rock, nel loro essere così profondamente Burtnik, abbracciano svariati altri generi procedendo in perfetta simbiosi, in elegiaca armonia tanto da abbattere il concetto stesso di contaminazione e considerarlo un genere pre-esistente, da sempre considerato quanto il prog, il jazz o altro. La sua ultra-ventennale carriera e le partecipazioni/collaborazioni con artisti tra i più disparati si fanno sentire tutte(attualmente anche in forza ai pomp-rocker Styx). Aritsta dinamico, maturo, Glen costruisce una intromissione continua di suoni e colori che vanno dall'elettronica, al pop(elettrico ed acustico), al funky, al rap. Questo sempre sotto l'egida di mamma rock, con la chitarra ruvida e maleducata e le ritmiche che piacchiano mentre lasciano spazio ad innesti strumentali variegati. C'è tempo per ballad dal romanticismo dimenticato("Another" e "Cry") in cui il senso di partecipazione e vicino all'immortalità. C'è l'R&B elettrico di "BAM", il college punk-rock di "Kiss Your Ass Goodbye", il vintage rock settantiano di "When The Shit Hits The Fan" e riletto in chiave moderna cosi vicino ai Beastie Boys, al brano di sola voce("All That's Yet To Come") che scivola via e sbiadisce lentamente per dare vita alla conclusiva "The Muse", brano sorretto da cornamuse, dal discanto ora hip-pop, ora melodico e per finire con una apoteosi gospel che suggella e marchia a caldo la pelle di chiunque s'avvicini a questo disco. Un must imperdibile!
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