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BATHORY: BLOOD FIRE DEATH

data

23/02/2005
100


Genere: Heavy Metal
Etichetta: Black Mark
Anno: 1988

Mette sempre una certa soggezione parlare di un'opera come "Blood Fire Death" che viene da molti ritenuta (assieme al successivo "Hammerheart") come lo stato dell'arte dei Bathory e loro massima espressione, tanto da spingere orde di bands a tentare di imitare quell'incredibile e irripetibile mistura di thrash, black e epic che costituisce l'ossatura di questo misterioso e rapace capolavoro. Il disco in questione è in effetti un'opera che nella discografia della band, già di per sè variegata e assolutamente multicolore, risulta ancora più unica, dato che rappresenta contemporaneamente sia la fine che il massimo splendore dell'avventura thrash/black intrapresa da Quorthon nei primi anni della sua carriera. L'impossibilità di definire un genere che non sia semplicemente "heavy metal" è una delle principali caratteristiche del disco. Ad esempio, troppo spesso si commette l'errore di considerarlo il primo disco epico scritto dai Bathory. Vero è che l'intro (più bella della storia musica) "Odens Ride Over Nordland" suona a posteriori come una vera dichiarazione d'intenti, ma l'epicità è solo una delle tante anime di questo disco. Cosa troverete dunque in "Blood Fire Death"? Un heavy metal estremo, aggressivo, rudimentale e primitivo, a tratti più che nel precedente "Under the Sign...", ma maggiormente attento alla melodia, vicino per certi versi agli Slayer di "Hell Awaits", ma per altri del tutto discosto dal movimento thrash metal. Quorthon per la prima volta tenta di sfruttare appieno le incredibili caratteristiche della sua voce: sgraziato, improponibile dal punto di vista tecnico, ma dannatamente espressivo e travolgente, nel mondo sospeso tra battaglie e evocazioni demoniache di "Blood Fire Death" trova il suo habitat naturale, e insieme alla batteria manowariana e alle chitarre roventi crea un'atmosfera di pura distruzione, intervallata però dai primi veri momenti melodici della storia della band. Dopo i nitriti e le cavalcate che lo aprono, è infatti un funebre arpeggio a introdurci al primo brano epic metal mai composta dai Bathory: "A Fine Day To Die", otto minuti di purissima epicità, feroce e barbarica come non mai, forgiata in riff mastodontici e minacciosi come orde sanguinarie lanciate all'assalto, seguita dalla trucida e implacabile violenza di "The Golden Walls of Heaven", brano assolutamente estremo che col suo contrasto ci fa subito capire in quale arcobaleno di stili si proietti il disco. Altri elementi di ferocia e violenza senza limiti sono l'inarrestabile "Dies Irae", con velocità da cardiopalma che i Bathory non toccavano quasi da "The Return", o la motociclistica "Pace Till Death", inusitato esperimento di black'n'roll mortale quanto grintoso. L'epicità riaffiora nelle possenti note dell'apocalittica "Holocaust", e nella sabbathiana "For All Those Who Died", episodi sempre scarsamente citati nella discografia della band ma che rappresentano il meglio del connubio tra epic e metal estremo con i loro riff graffianti ma sempre plumbei ed inesorabili. Per contemplare l'epos incontaminato che caratterizzerà i Bathory in futuro bisogna però aspettare la conclusiva, monumentale e pachidermica title track posta in chiusura, che nei suoi 10 minuti si dipana tra arpeggi inquietanti e poderosi stacchi di batteria, attraverso un continuum di riff che sono entrati nella storia della musica, e sembrano arrivati direttamente dalla leggenda. Raramente un disco "di passaggio" sa raggiungere tali livelli di grandezza... e raramente un'opera così immediata e rudimentale raggiunge tali livelli di perfezione. Perchè in "Blood Fire Death" l'heavy metal si fa mito, e il mito si fa carneficina, e dalla carneficina sorgono come gloriosi spettri le anime di eroi forse mai vissuti, ma che sempre esisteranno, come la benedizione divina che ha illuminato la mente di Chi ha saputo comporre cotanto disco... l'heavy metal portato alle sue conseguenze più epiche ed estreme, signori... accomodatevi!

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