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XXI AGGLUTINATION METAL FESTIVAL (Parte II)

Per leggere la prima parte del report basta cliccare qui.

Il sangue caduto con i Necrodeath, che iniziano col sole e finiscono col crepuscolo, è destinato a congelarsi molto presto: sono di scena gli Inquisition. Vi chiederete come si fa a chiamare a suonare una mezza band, solo batterista e chitarrista/cantante. Ebbene, ve lo chiedete solo perché non li avete mai visti dal vivo. Vi assicuriamo che Dagon e Incubus sono esattamente quello che serve per allestire un essenziale concerto di black metal, crudo e puro. Il primo riesce a manipolare la chitarra in modo tale da riempire l'atmosfera con una marea note fredde e ipnotiche, un maestro del riffing black metal. L'altro sa semplicemente fare il suo mestiere, cioé quello del batterista che fa anche gli straordinari e si sente. Poche parole, pose al minimo e tanta sostanza. Se questi colombiani meritano gli onori della cronaca per i loro brani, altrettanto importante è la dimensione live e la loro prova è superata. Piccolo inciso: siamo già agli headliner e la professionalità dei gruppi chiamati in causa fino ad ora è altissima.

Tornando alla cronaca, molti preferiscono riposarsi in vista dello schiacciasassi del death metal in chiusura, ma un gruppo come gli Edguy merita senz'altro la transenna. Ci aspettavamo un Tobias Sammet istrionico, ma non così loquace, simpatico e giocherellone. A voler essere fiscali si potrebbe dire che andando un po' più di fretta avrebbe potuto inserire un altro brano, ma il suo show è fatto anche di altro, di interazione costante con il pubblico di sguardi disinvolti, incitazioni, camminate avanti e dietro sul palco e di accenni accolti dall'ilarità generale a hit del pop italiano e molto altro. Lo spelacchiato biondino (tanta ammirazione e solidarietà per questo) tra l 'altro non ha una grandissima voce dal vivo, ma sopperisce la sua "normalità" con destrezza e esperienza da vendere, facendo cantare spesso tutti noi. Sono prediletti i pezzi più rockeggianti, come la spumeggiante "Love Tyger" e la immediata "Lavatory Love Machine", ma si guarda anche al passato con "Tears of a Mandrake" e la "teutonic speed metal song" "Babylon", senza dimenticare il disco dello scorso anno e la ballata "Save Me", con cui dimostra che anche i metallari hanno un cuore. Anche qui siparietti e battute del cantante, che porta con i suoi prodi compagni una ventata di freschezza all'Agglutination. Il resto della band non è da meno, tra precisione svizzera e grande affiatamento.

Tutti allegri e felici, quindi. Anche Trevor Peres che - poco dopo la fine del set degli Edguy - si fa un giretto sul palco mentre i roadie lo allestiscono per la mattanza dei suoi Obituary. Birretta in mano, panzetta e sorrisone. Lui è già pronto. La band americana è un bel pezzo di storia del death metal, che vediamo in primo luogo come un'istituzione, e poi come demolitori di prim'ordine. Tradotto: quei riff massicci e ingombranti che hanno reso il death metal quello che è oggi uno standard saranno anche solo quelli dei primi album (anche se per chi scrive non hanno mai toppato davvero), ma quando i cinque floridiani salgono on stage è difficile essere passivi di fronte a tale forza d'urto. Il cavernicolo John Tardy cerca di resistere con grande tenacia e quanto più possibile ai segni dell'età, pur avendo oramai una voce molto sforzata e dovendo fare i conti con diverse pause per rifiatare. Poco male perché i pezzi di 'Inked in Blood' escono meglio che su disco e fanno il loro sporchissimo lavoro, mentre qualche riserva abbiamo sui pezzi vecchi e soprattutto sulle parti soliste delle canzoni, perché Kenny Andrews sembra un po' avulso dal contesto e non è che l'audio sia stato molto clemente nei suoi confronti. Grossissimi Obituary, in ogni caso, maestri della musica veramente pesante, ieri come oggi.

Pubblico pogante travolto, pubblico pagante pienamente soddisfatto, in barba alle previsioni meteo che facevano presagire un diluvio universale, tanto che si è anche paventata l'ipotesi di suggerire a Noé di portarsi anche una coppia metallara sull'arca, ma per fortuna non ce n'è bisogno. Nel saluto conclusivo l'organizzatore ringrazia tutti sottolineando come gli anni passano e mandare avanti una manifestazione del genere sia sempre più faticoso. Dopo quello che ha dato al metal in Italia, fino ad ora, pensiamo che se un giorno dovesse avere bisogno di una mano, non ci saranno molti che avranno il coraggio di tirarsi indietro. Come si dice? Divided we fall, united we stand!

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