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XIX AGGLUTINATION METAL FESTIVAL

Considerazioni iniziali: non conosciamo il numero dei partecipanti all'evento e non ci azzardiamo a fare una stima su due piedi, tuttavia qualunque fosse questo numero ha dato l'idea degli amanti del metal diffusi nel Sud Italia. Visto che era previsto un temporale (non avvenuto alla fine) i meno convinti (i fan a metà) hanno desistito, lasciando che il campo sportivo di Senise fosse punto di ritrovo per gli afecionados della manifestazione e per facce nuove e giovani che si vedono di tanto in tanto. Si respirava la stessa aria familare dell'edizione 2011 con Bulldozer e Node. Oltre a un sacco di polvere. E così, l'Agglutination numero diciannove prende forma. La collocazione del paese scelto è ottima, trovandosi subito all'uscita della statale. Altrettanto riuscita la formula a due palchi, che ha in pratica ridotto a zero l'attesa tra esibizioni. Con grande rammarico riusciamo solo ad ascoltare -in fila alla cassa- le canzoni dei Rebürn, gruppo romano che ci fa comunque una buona impressione grazie al suo thrash pieno di groove e con tanta aggressività, con il santino dei Pantera sul comò. Anticipiamo le domande: sì, abbiamo comprato il loro EP e presto ne parleremo su queste pagine. Non deve essere facile suonare a quell'ora, auspichiamo che l'anno prossimo l'entrata avvenga -nella calca- non solo dieci minuti prima dell'inizio effettivo. Sullo stesso palco segue un altro gruppo di Roma, i Blind Horizon. Si inizia a fare subito sul serio con un death metal molto tecnico e violento, pieno di influenze esterne al genere (prog, jazz...) che nonostante la difficoltà di proporlo all'aperto e col Sole d'agosto che batte sulla capoccia, fa grande la band. Il cantante si contorce, combinando growl a clean vocals efficaci, alta è la concentrazione dei musicisti, ma le bordate arrivano con il piccolo e muscoloso batterista che non risparmia incitamenti al pubblico. Rabbia e orgoglio, meritavano un posto più in alto nel bill. Scaletta: 1. I Am Your God 2. Coils of Addiction 3. Pezzo nuovo (senza titolo, prima volta dal vivo) 4. Parallax Ci si sposta sul palco grande con i Folkstone, non fosse altro che per il numero dei componenti. Ma il numero di dischi e la loro qualità li mette in una posizione di semi headliner, col paradosso che siamo in pieno pomeriggio. La risposta del pubblico è eccezionale, il vessillo Basilicata Metal e il folk metal in italiano dei Nostri fa divertire tutti, anche chi non è avvezzo al genere, visto che i brani sono appetibili anche dall'heavy metaller, se si tolgono cornamuse e strumenti tipici. Tutti cantano, la polvere si alza, il primo concerto della band al Sud non poteva andare meglio. La loro prestazione convince, anche per la durata ideale del live. Scaletta: 1. Nebbie 2. Folkstone 3. Il Confine 4. Frerì 5. Non Sarò Mai 6. Anime Dannate 7. Terra Santa 8. Un'altra volta ancora 9. Rocce Nere Si torna sul palco piccolo e troviamo i veterani del death italiano, i Natron, pronti a farci seriamente del male. La creatura di Max Marzocca (quanto è violento dietro il drum kit?) tiene in pugno il pubblico con un assalto potentissimo, che non disdegna divagazioni dirette e rallentamenti alla Asphyx. La tracklist parla da sola, il wall of death finale e lo stage diving del cantante dimostrano l'amore verso la band. Scaletta: 1. By the dawn of the 13th 2. Morgue Feast 3. Flatline 4. Hatemonger 5. House of Festering 6. Backyard Graveyard (tagliata) 7. Rot among us I suoni potevano essere migliori, certo, ecco perché avremmo auspicato che i pugliesi avessero suonato al posto degli Eldritch, che si stavano preparando a calcare il main stage. Non facile riprendersi dalla brutalità dei Natron, molti decidono di riposarsi e la resa del loro power prog non è ottimale, complice un'acustica ballerina e un genere che non si presta molto alle esibizioni open air. La band è esperta e si sente, così come la consapevolezza di avere diversi dischi alle spalle (e il cantante ce lo farà notare, con poca umiltà, francamente) e un seguito molto forte soprattutto all'estero. Troppo liscia l'esibizione, i sussulti arrivano solo verso la fine, con l'ultimo brano, in cui il cantante tira fuori gli artigli. Da risentire con più calma e con più tempo a disposizione. Scaletta: 1. Deviation 2. Still Screaming 3. Scar 4. Blackenday 5. Everythings burning 6. The world apart 7. Reverse 8. Bless me now Così come anche i successivi Heavenshine, pronti sul palchetto secondario. Come mai suonano subito prima dei Marduk? I maligni dicono che è solo perché sono prodotti dall'organizzatore del festival e in effetti un po' il dubbio nelle facce dei presenti si legge tutto. Quasi tutti i componenti facevano parte dei prog metaller napoletani Marshall (nome storico della scena italiana), ma la formazione della band è di nuova costituzione ed ha appena esordito. I costumi di scena sono abbastanza amatoriali, il genere suonato, tra il symphonic (sugli scudi Miriam e la sua voce sopranile) e il power, con diverse incursioni nel prog (che vengono molto bene), molto sfaccettato e difficile da comunicare in questo contesto, con gente affamata per gli imminenti headliner, non mostra le reali capacità della band, che in 'Black Aurora' aveva dimostrato ben altro. Almeno, noi non avremmo mai immaginato che i brani di quel disco fossero riproposti dal vivo così. Anche loro sono da rivedere, magari in un locale più raccolto. Scaletta: 1. Where the father lion mirrors the stars 2. Fear me 3. Atlantis reloaded 4. Black Aurora 5. Dreamscape 6. The Phantom of the Opera Si arriva al dunque, è tempo di Marduk e il cielo, clemente fino a quel punto, si copre in modo sinistro. Il clima è cupo, la location stupenda, con un tramonto di fuoco alle nostre spalle, con i monti della Basilicata sullo sfondo. La band svedese dà fuoco alle polveri e lascia tutti tramortiti in men che non si dica. La presenza demoniaca di Mortuus e la sua voce immensa ci mette davanti a uno dei più grandi screamer del genere, le invettive sataniche sono piene d'odio, come si confà al genere, con un'intensità impressionante in "Slay The Nazarene". Lo status di big del black metal è totalmente meritato, tanto che i comportamenti degli svedesi sul palco è di grande dimestichezza col pubblico, con incitamenti e cori. Non è un mistero, non è un'eresia: i Marduk sono abituati a ben altri festival ed è stata una fortuna poterli avere qui. Le luci e i fumi, uniti allo zolfo che emanano le canzoni della band, ci fanno sprofondare all'inferno. Primo luogo comune sfatato: il black non è solo rumore, vediamo infatti musicisti eccellenti che danno il loro meglio. Secondo luogo comune sfatato: il black non è tutta velocità, lo sanno i fan della prima ora delusi perché mancano diversi pezzi dei primi dischi, a favore di brani più mortiferi e lenti. Non a caso, quelli composti con Mortuus alla voce. È normale che questi voglia cantare ciò che riesce a interpretare meglio, s'è mai visto Bruce Dickinson fare salti di gioia per cantare roba tratta da 'Iron Maiden' o 'The X Factor'? Maligni e morbosi, in definitiva. Viene naturale un confronto con i Rotting Christ dell'edizione dell'anno scorso. Molto ardua la scelta, forse per un pelo vincono i greci. Il pubblico nelle prime file cambia: gli Stratovarius sono accolti da altri figuri, pronti più a cantare che a pogare selvaggiamente. Prevalgono composizioni tratte da 'Nemesis', "Halcyon Days" dà prova di essere un ottimo test per le ugole di fan e di Timo Kotipelto. Quest'ultimo con fare guascone non lesina pose e soprattutto la sua voce. Questo non gli consentirà di arrivare al meglio a "Black Diamond", ma chi non troverebbe difficoltà in certi acuti? Gli scandinavi danno vita allo spettacolo power metal per antonomasia, fatto di doppia cassa, potenza, non eccessivo coinvolgimento per chi non conosceva bene la band, ma grande professionalità e simpatia. Soprattutto per il bravissimo chitarrista (non ce ne vogliano Timo Tolkki e i suoi fan: solo ora i Varius sono una band matura) e il simpatico bassista hippie, sosia di Mikael Akerfeldt degli Opeth. La lunga "Destiny" è il punto più significativo della loro esibizione, il coinvolgimento invece è alle stelle su "Hunting High And Low". Comprendiamo che l'umore della band non fosse alle stelle: la loro strumentazione personale è finita per un disguido della compagnia aerea in tutt'altra parte d'Europa. Scaletta: 1. Under Flaming Skies 2. Speed of Light 3. Halcyon Days 4. The Kiss of Judas 5. Fantasy 6. Dragons 7. Destiny 8. Black Diamond 9. Unbreakable 10. Hunting High and Low Si fa tardi, per il cambio di palco degli Overkill, il loro live inizia con oltre mezzora di ritardo sulla tabella di marcia. Glielo perdoniamo? A ragion veduta (a concerto finito, insomma), sì. Subito si ha l'impressione di avere a che fare con delle leggende. Sarà il modo in cui entrano sul palco, sarà lo sguardo deciso di D.D. Verni col suo basso spettacolare, sarà la fisicità della prestazione di Bobby Ellsworth, in ogni caso -come per i Marduk- lo show è di livello altissimo, ancora una volta invitiamo quelli che non sono venuti all'Agglutination a controllare che posizioni occupano gruppi del genere nei festival più importanti d'Europa, per capire che il 10 agosto 2013, in pieno Sud Italia, Gerardo Cafaro ha posto in essere una manifestazione di livello assoluto. Tornando agli Overkill, rimaniamo sbalorditi dalla somiglianza del cantate con Riccardo Cocciante (dai, lasciatecela passare) almeno quanto dalla sua atletica tenuta del palco: corre, si agita, va volteggiare le aste del microfono, ci perfora i timpani con quella voce perentoria e arcigna, un Artista completo, ma quando ricorda la prima venuta della sua band in una delle prime edizioni del fesrival, allora sì, viene fuori l'uomo, il metallaro, l'appassionato che trasmette passione. Sbalordisce la carica adrenalinica, una forza d'urto che gli attuali Big 4 si sognano, tanto che di fatto non ci sono dubbi che quella sigla ora comprenda più gli Overkill che i Megadeth o quel che resta degli Slayer. Quello che ci fa esaltare è che i pezzi tratti dall'ultimo disco si incastrano perfettamente nel mosaico di capolavori degli anni Ottanta e Novanta. "Electric Rattlesnake" e "Ironbound" da un lato, "Elimination" e "Wrecking Crew" dall'altro: ci superstiti? No. Anche quando le corde si spezzano nel bel mezzo di una canzone, nessun problema, il godimento è solo sospeso, riprenderà a breve con quei riff portentosi che ci fanno amare questa band. Il vaffa conclusivo e collettivo di "Fuck You" chiude la parata di mattonate del combo, ma l'abbraccio collettivo e da defender con "In Union We Stand" ci ha emozionato. C'è sempre un "ma". In questo caso è piccolo piccolo, un neo, comunque visibile. Trattandosi di grossi professionisti, si ha avuto la leggera impressione che la maggior parte dello spettacolo degli Overkill fosse uno "standard", livelli sopraffini, ma sempre regolari. Quasi come se questo per loro fosse un concerto come un altro. E anche se per noi è speciale, avere il presentimento che per il proprio gruppo preferito (o quasi) non sia stato lo stesso lascia una punta d'amaro in bocca. Scaletta 1. Rotten To The Core 2. Wrecking Crew 3. Bring Me The Night 4. Electric Rattlesnake 5. Infectious 6. Ironbound 7. Hello From The Gutter 8. Save Yourself 9. In Union We Stand 10. Elimination 11. Coma 12. Fuck You Considerazioni finali: un inchino al grande Cafaro per lo sbattimento. Non avete idea di come sia difficile organizzare festival del genere in una regione di mezzo milione di abitanti dove l'apatia è la regola (vedi la questione delle estrazioni petrolifere). Le ultime dichiarazioni parlano di Cafaro che non riesce piú a sostenere il peso di un festival di questa portata, da solo. Auguriamo una risposta (economica) da parte di chi ha apprezzato in questi anni il suo operato, perchè come dicono gli Overkill "united we stand divided we fall", per fare in modo che anche ridimensionata ci possa essere l'edizione del ventennale.

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