WOLFMOTHER
Nel grande spazio allestito in occasione del Festareggio di Reggio Emilia, tra le più importanti feste dell’Unità qui in Italia, si è svolto il concerto di una tra le più famose rock band residenti nella Terra dei Canguri, vale a dire i Wolfmother del carismatico leader Andrew Stockdale. Il loro ultimo album ‘Victorious’ ha avuto un buon impatto in termini di apprezzamento di critica e pubblico, e dopo la tournèe della scorsa primavera, si ripete anche per quest’estate l’occasione di assaporare dal vivo i pezzi più recenti. Ad aprire la serata reggiana due band italiane che stanno progressivamente emergendosi nel panorama nazionale, gli emiliani Onelegman e i romani Giuda.
Parte l’alternative metal degli OneLegMan, un metal a cavallo tra Korn e Shinedown, e che ha in comune la costante aggressività della musica e dei pezzi proposti. Una performance nel complesso buona ed apprezzata dal pubblico, con la voce di Cristian Ceccardi più convincente nelle parti più estreme invece che nelle parti clean, leggermente più approssimative e poco ficcanti. Una band che comunque sa il fatto suo e che può andare a suonare in giro per l’Italia a testa alta.
Successivamente, si passa al rock classico che più classico non si può dei romani Giuda. Un rock che percorre l’atmosfera dei bei decenni che furono, volgendo lo sguardo un po’ ai Thin Lizzy, un po’ ai primissimi Judas Priest, passando per Twister Sister ed il glam rock anni ’80. Il tutto imperniato da una continuità senza fine della loro musica, non lasciando pause di sorta tra un brano e l’altro e quindi tenendo alta l’attenzione per tutta la performance. E poi è un rock fatto davvero bene, con il vocalist Tenda che applica il ruolo dell’autentico mattatore con grande stile ed un’audacia invidiabile, e supportato da una band che lo appoggia in tutto e per tutto, producendo un rock danzereccio che nelle sale da ballo non sfigurerebbe affatto. Molto orecchiabili e di facile presa, i Giuda hanno fatto subito breccia tra il pubblico, e forti di una cospicua discografia hanno anche l’esperienza necessaria per tenere il palco con grande autorevolezza. Se ne sentirà assolutamente parlare in futuro.
Dopo il doveroso minuto di silenzio per le vittime del sisma del Centro Italia, accolto con il dovuto rispetto dal folto pubblico che è venuto ad assieparsi, è giunto il momento per i Wolfmother di abbracciarsi ed incoraggiarsi al lato del palco e di iniziare quindi il loro show, dove campeggia sul retro il maestoso lupo che domina la copertina di ‘Victorious’. In molti potevano immaginarsi un inizio affidato ai pezzi dell’album nuovo, invece si inizia con “Dimension”, traccia di apertura del bellissimo disco omonimo di esordio. E subito la platea si imbizzarrisce sulle ritmiche frenetiche del brano, con la combo batteria-basso a dominare sia musicalmente che scenicamente, grazie alla mise da autentici frichettoni di Vince Steele e Ian Peres. Stockdale invece si dimostra più statico e più concentrato a suonare la chitarra ed a cantare. Lo show continua girovagando soprattutto tra i pezzi del primo album e quelli dell’ultimo, dove tutti i brani più famosi e riusciti vengono eseguiti, da “Woman” a “White Unicorn”, passando per “Gypsy Caravan” ed una bellissima e psichedelica versione di “Love Train”. Poco spazio invece viene dato per i brani di ‘Cosmic Egg’, dove spicca una bella versione di “California Queen”.
Ian Peres, tra i virtuosismi al basso ed i giri con la Korg, si dimostra all’altezza della situazione, ed anche Steele dà l’anima nel pestare piatti e pelli. Stockdale alterna invece parti molto buone di chitarra, anche se dal punto di vista del sound si fa notare di meno rispetto agli altri strumenti, e parti vocali non sempre lineari e continue, un po’ per l’impostazione dei microfoni che non permetteva alla sua voce di essere sempre percepibile, un po’ nel girare lo sguardo alla pedaliera durante l’esecuzione dei pezzi che faceva perdere di tonalità il brano. Nonostante tutto, anche per lui una buona esibizione, che tocca il suo apice nei bis finali dedicati a “Colossal” e “Joker And The Thief”, a testimoniare l’attaccamento della band verso il primo album, che viene interpretato quasi per intero e che si può senza paura di smentite essere considerato come il migliore della discografia del combo australiano. Uno show che ha scatenato l’entusiasmo del pubblico, ed è questo l’aspetto che emerge, nonostante sia stato, dal punto di vista strettamente musicale, un’esibizione sì buona ma non da scrivere agli annali dei concerti top. Ma che dimostra comunque una band in forma, soddisfatta del proprio compito e con un futuro ottimista davanti a sé.
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