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TUXEDOMOON

Ci siamo avvicinati al concerto dell'Auditorium con timorosa reverenza; timorosi perchè le due performance viste negli ultimi sei anni non sono state esaltanti in quanto hanno privilegiato la nuova produzione e totalmente evitato i pezzi storici (motivo principale della nostra presenza), con reverenza perchè non si può non riconoscere la valenza acquisita nel panorama new wave avanguardistico mondiale grazie a dischi quali 'Half Mute', 'Desire', 'Holy Wars' e 'Ship of Fools'. Con cadenza regolare (ogni due/tre anni) gli americani naturalizzati europei tornano nella capitale con la loro proposta omnicomprensiva che partendo dal post punk elettronico e sperimentale degli anni '80 ha saputo metabolizzare il folklore delle nazioni europee e sudamericane che li hanno ospitati. La serata all'Auditorium è un punto di arrivo, lo zenith di una carriera (trentacinque anni), la consacrazione celebrata nel tempio della musica; al concerto ha fatto da complemento d'arredo il film 'The Itch', la storia di un uomo composto di celluloide al quale viene diagnosticata una malattia allo stadio terminale; da qui ha realmente inizio il set scandito da video di matrice ottantiana, girati sul momento da Bruce Gedulding, il rumorista (vestito con tanto di camice a voler imitare un dottore folle), con una microcamera che inquadrava un bicchiere pieno d'acqua e delle biglie di vetro all'interno, un frullino agitava il tutto dando vita ad un quadretto psichedelico. Il live e' incentrato sul classico sound che ha fatto di loro un trademark, con quel basso secco, nervoso e pulsante che si staglia sui vari rumorismi di base sui quali si inseriscono, cesellano ed intarsiano di volta in volta il violino, il sax, il clarinetto, la chitarra distorta ed emergono le influenze mediterranee che hanno plasmato la seconda parte della loro carriera (a mò di banda del paese quando festeggia il santo patrono, il tutto incentrato su un loop tribale). "Nervous Guy" celebra i primordi della band, quelli più febbrili e nevrotici, quelli dei grandi album di cui sopra: "A Home Away" con il suo ritornello let's just say this is the waye' contagiosa; un altro momento pregnante e solenne del set e' stato "Muchos Colores" che ha celebrato l'anima latina e decadente del loro sound. "Everything You Want" il brano più devastantemente dark, noise ed elettronico del lotto ha preceduto "Cagliu Five O" traccia scritta durante il loro soggiorno in italia, piu' precisamente nelle marche. La loro classe gli ha permesso di far coesistere musica classica, post punk/new wave, avanguardia e western - "In The Name Of Talent (Italian Western Two)" è visceralmente da pelle d'oca con quel clarinetto ultraespressivo e toccante - e musica concreta in un unico fluire che non ha trovato ostacoli nell'abbracciare ed inglobare le influenze e le culture che hanno incontrato lungo il loro peregrinare. Seguono "Still Small voice", "Dorian" tratto da Pink Narcissus il controverso cult film di James Bidgood del 1971; dei bassi da smottamento tellurico introducono una nenia funerea a sancire il dolore della dipartita di qualcosa di molto caro. Qui si conclude il set delle lune in frac se non fosse per il lungo e scrosciante battimani del pubblico (sala petrassi piena) che li ha richiamati, con molto vigore, per altri due spaccati di dimostrazione di beltà. Ci ha colpito la silenziosa sinergia ed il reciproco aiuto tra Steven Brown e Luc Van Lieshout; imprescindibili avanguardisti del post punk americano che hanno finalmente rimusicato (con nuovi arrangiamenti che li hanno resi piu' attuali e talvolta poco riconoscibili) i pezzi che li hanno resi storici.

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