PENTAGRAM
La via che porta al Traffic, la Prenestina, non è certo un’autostrada, ma la sera del 5 agosto, credetemi, percorrerla è stato come trovarsi in una Highway To Hell. Temperature a dir poco luciferine. Come quelle che abbiamo trovato al locale, dove i ventilatori da sala erano spenti e l’aria condizionata, se era attiva, è stata come Patrick Swayze in Ghost: fantasma. Pazienza comunque, perché l’atmosfera, invece, era davvero elettrizzante. C’era molta gente, tanta curiosità e metallari di varie fasce d’età, dai medio-giovani (perché più “freschi” di così non se ne trovano, se li è presi tutti la trap), allo zoccolo duro dei matusalemme. Un po' come i Pentagram, in tour con il titolo di servizio “doom-band più longeva al mondo”. Ma andiamo per gradi. Ad aprire c’erano gli Atomic Bitchwax, che all’arrivo del sottoscritto avevano già iniziato a suonare, ma non da molto. Meno male, perché sono stati la vera sorpresa della serata! Quantomeno per chi, come me, non li aveva mai visti live. Dinamitardi! Eravamo in tanti a guardarci in faccia con stupore e soddisfazione. Difficile descrivere il sound degli americani. Wikipedia li classifica semplicemente come hard rock, ma c’era molto di più nel loro groove. C’erano i primi Motorhead insieme ai Sabbath, c’erano lo stoner e il blues, c’era del doom, ma anche echi di Eagles e Iron Maiden. Possibile tutto ciò? Ebbene sì. E il risultato non era affatto confuso, mal assortito o ruffiano. Al contrario, era un pugno ben assestato nelle gengive. Simpaticissimo il cantante/bassista Kris Kosnik, la cui fisionomia mi ha fatto pensare a un incrocio tra Joey DeMaio dei Manowar e il falegname di fiducia dei miei genitori. Se dovessero tornare a Roma certamente andrò a rivederli.
Tra un’ondata di sudore e una trangugiata di birra arriva finalmente il momento dei Pentagram. Il momento di Bobby Liebling, una creatura dall’aspetto buffo e mitologico. Mi ha ricordato zio Tibia (riposi in pace Stefano Cananzi, l’attore che indossava i panni del pupazzo horror negli anni ’90, deceduto pochi giorni fa), ma sarebbe potuto anche essere un personaggio creato dai fratelli Cohen o da Sam Raimi. Cosa dire dell’unico membro originario della band, vera e propria anima dei Pentagram? Che, come si dice a Roma, “aregge”. Ovvero, ancora ce la fa. Magari con la mobilità di un tricheco spiaggiato, e con una pronuncia da eroe del bancone al ventiduesimo bicchiere di whiskey, ma tiene comunque botta e mostra grinta e passione. Che è ciò che conta. Specie per uno con i suoi trascorsi giovanili a base di eccessi d’ogni sorta, non è affatto scontato. Voi mi direte: e Lemmy allora, come faceva a salire sul palco fino a pochi mesi dalla sua ascesa all’Olimpo della musica? Vabbè, si sa, Lemmy era Dio (cit.), quindi non faceva testo. E Mick Jagger, che ha dieci anni più di lui e ancora canta, allora? Beh, Jagger ha un’équipe di medici e massaggiatori personali a seguirlo che nemmeno la regina d’Inghilterra. A seguire Liebling, invece, ci penserà al massimo il veterinario del suo animale domestico. Insomma, mostrava vent’anni in più di quelli effettivi ma anche una grinta e una voglia che mancano spesso perfino ai ventenni delle new generation. Quindi va benissimo così. Confesso di aver terminato il concerto all’esterno, perché se l’anima umana pesa 21 grammi, almeno una decina erano evaporati per il gran caldo nel frattempo. Cosa resta della serata? Il ricordo aver condiviso un’ennesima volta della buona musica con altri amanti del vecchio fuoco metallico, e incluso nel prezzo due piacevolissime prestazioni live. “Bella così”, come dicevano Cicerone e Catone il Censore ai tempi in cui furono fondati i Pentagram.
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