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MAGNOLIA STONE

Ci sono quelle serate torride d’estate che non faresti altro che immergerti sotto una doccia gelata, o nel mare immenso, per cercare di ricevere una sorta di sollievo evitando di continuare a vivere in uno stato di liquefazione totale. Quell’estate torrida che, dall’altro verso, risulta invece perfetta per un certo tipo di musica che predilige le temperature vertiginose, l’umidità a mille, ed il senso di allucinazione continua dovuta ai picchi di caldo che ci infrangono la testa. E che, in maniera del tutto particolare, risulta un vero toccasana per affrontare il caldo nella maniera migliore e con il giusto piglio. Quel sound stoner che ha fatto delle atmosfere desertiche il proprio contesto ideale, e che nella serata di martedì 1 agosto al Circolo Magnolia di Segrate (MI) ha trascinato e sconvolto gli appassionati grazie a dei vortici e degli scompensi musicali di grande impatto. Il Magnolia Stone, in sostanza, è stato tutto questo: sciame di meteoriti scagliati con imponenza verso la Terra, formati dalle note pesanti e dai ritmi importanti delle band che vi hanno partecipato.

Iniziano la serata, quando è ancora ben chiaro e con una fetta di pubblico già fornita, i King Buffalo, autori di uno stoner rock dalle tinte psichedeliche che destano grande attenzione e sicuro fascino, con linee musicali capitanate dalla chitarra di Sean McVay che ci appresta a viaggiare in totale tranquillità, sensa disdegnare ritmiche potenti frutto dell’ottimo lavoro dato dalla batteria di Scott Donaldson e dal basso di Dan Reynolds. Un inizio di serata molto convincente, che già da subito fa notare come si evolverà la serata e quali direzioni potrà prendere.

Sempre di gran groove si parla con gli australiani Child, e loro sì che di gran caldo se ne intendono. Nella serata del Magnolia mescolano percorsi very very blues, con la chitarra suadente ed accennata e la gran voce di Mathias che ci fa esplorare mondi vicini a quelli solcati in passato da Joe Cocker, e vere e proprie bordate hard-stoner fatte quando era proprio il momento di pigiare sull’acceleratore ed investirci ad uno ad uno, chiamando in causa senza mezze misure la batteria di Michael che ci ha scosso senza timori reverenziali. A differenza del mood leggermente più tranquillo avuto in un live al Lo-Fi di qualche tempo fa, qui invece in una cornice outdoor hanno ulteriormente sciolto le briglie alle loro intenzioni, e ci hanno travolti con gusto, dimostrando che il loro ultimo album ‘Blueside’ ha un impatto diverso e più deciso dal vivo, integrando con maggior forza ciò che già di positivo è contenuto nell’album. E la serata continua a crescere.

Cresce ancora di più con la classe operaia dell’hard rock americano impersonificato dai losangelini Sasquatch, che non prediligono chissà quali psichedelie e visioni varie, ma vanno diretti sulla concretezza e sulla carne intensa dell’hard rock tipicamente americano e molto classico. L’ultimo album ‘Maneuvers’ è un buon lavoro, e sul palco del Magnolia lo fanno rendere al meglio, oltre ai pezzi più datati che devastano la platea soprattutto nella loro parte finale di set, creando anche delle agguerrite pogate. Keith Gibbs è un ottimo frontman e lo ha dimostrato ampiamente quella sera, con una performance tutta anima e corpo e dai tratti anche emozionali, ossservando le sue intense espressioni. Un altro grande live in questa calda serata.

Si abbassano notevolmente le frequenze e si rallentano i ritmi quando sale sul palco un’istituzione dello stoner-doom internazionale, gli esperti Acid King capitanati dalla signora Lori S. Intanto nell’aria e in mezzo alla gente i livelli di alcol e sostanze, per così dire, tranquillizzanti si sono alzati in maniera graduale, e dalle facce presenti si nota tutto questo. E forse, sarebbe stato il modo giusto per poter apprezzare appieno la proposta della band di San Francisco, dediti a sonorità vicine ad un doom particolarmente statico e monolitico, al quale si aggiungono le linee di chitarra dall’aspetto molto grave proprio di Lori, che hanno permesso a tratti di poter compiere degli interessanti viaggi mentali. Ma solo a tratti, perché alla lunga la musica, almeno dal vivo, degli Acid King tendeva a non mantenere le ottime intenzioni che invece si constatano ascoltandoli su disco: le atmosfere inserite in un album quale, ad esempio, ‘Busse Woods’, non sembrano essere neanche lontanamente avvicinate dal set live proposto al Magnolia, e nemmeno gli inserti vocali di Lori, per quanto ottimi e suggestivi, sono riusciti ad alzare il livello. Un live che, comunque, è stato apprezzato da una buona fetta di pubblico, ma che come resa complessiva ha un po’ peccato, rendendosi apprezzabile, come accennato, solo all’interno di un’atmosfera contorniata da fumi ed essenze di un certo “tipo”.

La questione cambia radicalmente come una scossa tellurica del nono grado Scala Richter quando salgono sul palco i bostoniani Elder, e subito mettono le cose in chiaro quando attaccano con “Sanctuary”, brano di apertura di quel gioiello megagalattico che è il nuovo album ‘Reflections Of A Floating World’, un album che ad ogni ascolto dimostra di sorprendere sempre più e di essere ogni volta più potente. Gli entusiasmi del pubblico sono molto alti, al limite della fantascienza, e questo perché la band risulta assolutamente perfetta sul palco, e le loro musiche sono estasianti per quanto potenti e varie. Loro sono i virtuosi dello stoner-rock, e lo dimostrano ancora di più con la successiva “The Falling Veil”. Ma l’apoteosi viene raggiunta quando ci affondano in maniera assoluta con “Compendium” e con la conclusiva “Gemini”, delle autentiche scintille esplosive che hanno prodotto vari headbanging spingendo la testa fin quasi a terra, facendoci esaltare in maniera vulcanica. Nessun calo, nessun punto debole, tutto straordinariamente lucido, pulito e convincente, per una tra le migliori stoner band in circolazione già da qualche anno a questa parte. Ci hanno trascinato e smosso da una parte e dall’altra con grande vigore, con grande gioia dei presenti, chiudendo una serata dagli alti contenuti musicali, in un’atmosfera di grande festa comune. Perché in fondo, se vuoi, del caldo puoi anche non pensarci.

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