LEPROUS + THE OCEAN + PORT NOIR
Negli ultimi tempi ha fatto capolino, tra centro e nord Italia, una nuova venue per eventi che cerca di radunare, in una posizione baricentrica, appassionati di musica live provenienti da varie parti del nostro Paese, sia del nord che del centro Italia. Il Campus Industry Music di Parma si presenta, quindi, come una delle location adatte per ospitare concerti di band di una certa fama internazionale, grazie ad una buona capienza, ad uno spazio decente, e ad una qualità impiantistica di buon livello. A saggiare degnamente le potenzialità di questo locale arrivano, nella serata di lunedì 18 novembre, i norvegesi Leprous, attualmente tra le band progressive più importanti a livello internazionale, che hanno da poco rilasciato l’album ‘Pitfalls’, lavoro che spiazza decisamente rispetto ai precedenti lavori, e per il quale è stato ampiamente incensato proprio per la caratteristica di variare in maniera quasi radicale il loro sound tipicamente progressive al limite dello schizoide, e cercando di incunearsi nell’anima ancor più in profondità. Ad accompagnarli nel loro tour europeo, una garanzia del post-metal attuale, come i tedeschi The Ocean, i quali avranno l’arduo compito di tenere testa ad una band che live ha sempre dato le più ampie garanzie. A scaldare il folto pubblico che già dall’inizio si è assiepato in platea, gli svedesi Port Noir, power trio che sale sul palco già bello carico.
I ragazzi svedesi Port Noir non hanno molto tempo a disposizione per proporsi (circa mezz’oretta), ma in questo lasso di tempo mettono in mostra un convincente connubio di alternative rock e nu metal, che riesce a fare breccia presto tra il pubblico. La voce di Love Andersson si dimostra fin da subito convincente, ed i suoi compagni imbastiscono bei ritmi, supportati dal cantante in qualità anche di bassista. I suoni sembrano ben presto buoni e ben bilanciati, aspetto importante per le band che seguiranno.
Il palco si oscura, come ormai solito, per il set dei berlinesi The Ocean. La band post-metal sta continuando con il proprio percorso di promozione del primo capitolo di ‘Phanerozoic’, a cui ne seguirà un secondo agli inizi del 2020. Sul palco, l’impressione che si è avuta è quella di una band che ha tenuto leggermente da parte l’esplosività e l’aggressività che più volte abbiamo apprezzato nei loro live, in luogo di passaggi più atmosferici e ragionati; una sorta di esposizione ponderata, come testimonia l’uso dello stage da parte del vocalist Loic Rossetti, in cui nei passaggi di voce pulita durante i brani tratti prevalentemente da ‘Phanerozoic I: Palaeozoic’ e ‘Pelagial’ si pone nelle retrovie, in posizione quasi completamente coperta dall’oscurità, lasciando invece lo spazio alla costruzione musicale dei propri componenti, in particolare di basso e batteria, in questo set davvero efficaci. Quando però c’è da sguainare gli artigli formati dal suo scream ferale, si getta a bordo palco per cospargersi del suono emanato dalla band ed amplificato, con tutto l’apprezzamento del pubblico che ne consegue. In questo frangente, le chitarre non sembrano essere particolarmente esaltate, dando invece più spazio agli altri strumenti, e questo è reso ancor più presente nella finale (e immancabile) “Firmament”, cavallo di battaglia della band che chiude un set che sarebbe potuto essere incrementato di un brano, non solo da un punto di vista di tempi, ma soprattutto della constatazione di un affiatamento pressoché perfetto della band, la quale anche in concerti come questo, apparentemente più morigerati del solito, dimostra di essere assolutamente convincenti e all’altezza.
Alle 22 in punto, e con l’attesa spasmodica da parte del pubblico, salgono sul palco l’attuale messaggero consacrato del progressive, Einar Solberg, e i suoi Leprous. Il leader dimostra di essere subito presente, scenicamente e musicalmente, e la band è prontissima a dare il via alle danze. È subito ‘Pitfalls’ con l’esecuzione di “Below” e “I Lose Hope”, i quali (a modesto parere del sottoscritto), come nella versione in studio, faticano ad essere convincenti, e ci danno una sensazione un po’ strana, tra l’indefinito, l’incompiuto ed uno stato di attesa, che sembra essere la situazione più coerente con ciò che si vive in quel momento. Perché con “Stuck”, e quindi con i brani del recente passato, si inizia a fare sul serio, con le loro consuete ritmiche pirotecniche dettate dalla sezione ritmica formata da Baard Kolstad (davvero effervescente in questa serata, sicuramente tra i migliori sulla piazza in questo genere) e da Simen Børven, e dalle chitarre di Suhrke e Landsverk. In queste partiture, che il pubblico assimila subito e in maniera degna, Solberg si incunea e detta legge con i suoi vocalizzi che sono ormai trademark registrati, contribuendo ad alzare impetuosamente l’asticella della serata. Si continua su questi livelli con “Cloak” e “The Slave”, ma si raggiunge un picco altissimo con la cover di “Angel” dei Massive Attack, condotta in maniera magistrale grazie ad una versione che rapisce e penetra visceralmente, non lasciando scampo nell’immaginario mondo dei sogni. La band non intende mollare la presa, perché arriva “The Price” a dare frustate decisive a tutti noi, a dimostrazione che ‘The Congregation’ è un album che, quando proposto dal vivo come recentemente al Prognosis Festival di Eindhoven (al momento una delle vette live raggiunte quest’anno in senso assoluto), non lascia superstiti ed è di una qualità assolutamente disarmante, per groove e classe. Momenti di quiete si riscontrano con “Observe The Train”, prima di un brano che dimostra essere tra i migliori di ‘Pitfalls’, ossia “Alleviate”, il quale ha il suo punto di forza nell’esplosione vocale di Einar Solberg a metà brano, che ci colpisce in pieno centro e ci appaga in maniera decisiva. Un altro nuovo brano che dal vivo riscuote ampie rivalutazioni in positivo è “Distant Bells”, il quale sa essere dirompente nei punti giusti.
Dopo la meritata pausa, si chiude in totale bellezza con un altro must leprousiano, vale a dire “From The Flame”, come sempre esplosiva e che ci fa cantare il ritornello a squarciagola, prima di concludere con “The Sky Is Red”, in cui tutto il locale si tinge di rosso acceso, che ben si accompagna alle ritmiche oscure del brano, che tocca anche atmosfere doom e heavy metal, per quello che è sicuramente il brano più pesante dell’ultimo album. In questo brano, come in quasi tutto il set, è risultato fondamentale l’apporto del violoncellista Raphael Weinroth-Browne, che ha dato quei tocchi di mistero e di impatto che servivano a rendere più accattivante la serata. Notevole anche come si è ben destreggiato alle tastiere e al synth che Einar gentilmente offriva a lui. Questo scambio di strumenti è stato fatto da parte degli altri membri, in un gioco di simbiosi e di interscambi che fa solo bene allo spirito di gruppo Questa serata conferma che i Leprous sono una garanzia dal vivo, una band che sa evolversi senza perdere il contatto con la realtà e lasciando sempre un senso di soddisfazione tra i propri sostenitori. Sicuramente alcuni brani nuovi lasciano ancora il passo ai brani più affermati, e lo si è visto a Parma dove quando venivano attaccate le note di una “The Price”, o di una “From The Flame”, l’estasi del pubblico saliva alle stelle. Ma i ragazzi norvegesi sono sicuramente consapevoli che ci sono anche brani che, invece, possiedono da subito le qualità per fare subito breccia tra gli appassionati, e che devono servire da stimolo per far potenziare i brani meno diretti. La sensazione è i Leprous sanno quello che fanno, e te lo sbattono in piena faccia.
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