FRONTIERS ROCK FESTIVAL 2016 - DAY II
Giusto il tempo di riprendersi dal turbinio di emozioni accorse nella precedente giornata, che il festival entra subito nel vivo della propria seconda parte con i Blood Red Saints, band nata dalle ceneri dei già ottimi In Faith, dai quali hanno tratto i propri classici stilemi a metà tra tipico AOR ed hard-rock melodico d'oltremanica. Un non entusiasmante, ma positivo lancio di giornata da parte del combo anglosassone, il quale non ha potuto fregiarsi di un Pete Godfrey in giornata di grazia (abbastanza deludente sui primi brani proposti, ma ripresosi subito dopo per un tutto sommato piacevole finale), ma che non ha mancato di scaldare più di qualche cuore con i migliori episodi melodici provenienti dal proprio piacevole debut album.
Ben altro discorso va invece riservato ai connazionali Inglorious, una perfetta versione 2.0 dello storico sound a metà tra Whitesnake, Purple e Zeppelin, autori di una esibizione live piena di energia di puro spirito rock'n'roll. Temerariamente guidati dall'ugola del rombante Nathan James (singer tutt'altro che debuttante a livello internazionale), e strumentalmente autori di uno show quadrato e dal forte impatto coesivo, gli Inglorius hanno saputo spezzare gli indugi di più di uno scettico, dimostrandosi band di assoluto e indiscutibile valore.
Uno dei nomi più attesi, almeno da parte del sottoscritto, era quello legato alla storica voce dei grandi Strangeways, più semplicemente sua maestà Terry Brock. Quello che è fuoriscito dall'esibizione del singer britannico è stato un vero e proprio mix di emozioni contrastanti, divise a metà tra quelle entusiastiche di una setlist di altissimo valore (capace di spaziare con classe tra tutti i vari capitoli artistici dello stesso Brock), e il non sempre impeccabile apporto canoro a cura del medesimo singer, trovatosi in alcuni casi a non identificare la corretta tonalità vocale (anche se, e questo per onestà va detto, solo per intermittenti parti del concerto stesso). A mixed bag of emotions.
Poi, ad un certo momento, arrivò il punto di rottura: i Defiants di Paul Laine, Bruno Ravel e Rob Marcello, alias i riesumati "Danger Danger Pt. II" al netto di Steve West (comunque ottimamente sostituito dal bravo Micke Dahlen). Uno show eccezionale, una sferzata di compattezza e proverbiale nerbo di puro hard melodico americano, il tutto a firma di un quartetto dal potenziale enorme, guidato da un Paul Laine in puro stato di grazia. Scaletta top (tra pezzi del proprio debut album, Danger Danger e Laine solista), tanto da portare Robbie LaBlanc a cantare a squarciagola tra il pubblico. Semplicemente clamorosi.
E dopo la sbornia euforica a firma Defiants (veri e propri "guaglioni" da stolen show, con lo staff Frontiers più volte intervenuto per toglierli dal palco a stage-time più che sforato), tocca purtroppo tornare coi piedi per terra con l'omonima band dello storico Graham Bonnet, forse il motivo dell'avvento di un "certo" Roby Facchinetti tra i presenti del pubblico. Purtroppo, e mi duole davvero dirlo, il noto frontman dei Rainbow ha fallito nel lasciare il segno all'interno di questa sua calata italica, complice una forma vocale tristemente modesta, mitigata con difficoltà solo dal proprio grande carisma da navigato frontman. Punto di maggiore interesse la grande band intervenuta al suo seguito, con un Mark Zonder in spolvero come davvero pochi altri.
Fortunatamente, e lo dico con l'entusiasmo di un bambino pronto a ricevere il proprio regalo di Natale la sera della vigilia, poche decine di minuti mi dividevano ancora dal momento che più di tutti ho atteso, quello dei party-rockers Trixter: ho sognato per anni di potermeli gustare in quella che ho sempre immaginato come la loro dimensione ideale (quella live), sensazione confermata da una prova on-stage effervescente, briosa e assolutamente indimenticabile. Coinvolgenti, dinamici e devastantemente trascinanti, i rockers a stelle e strisce hanno dimostrato di valere ogni singolo cent speso per portarli a calcare il nostro italico suolo, con tanto di ringraziamento allo staff Frontiers e al mitico Primo Bonali, il quale godrà a credito di stima assoluta da parte mia per aver realizzato questo piccolo quanto personale sogno!
Last (but not least, almeno come si suol dire dire nelle britanniche lande), manca ancora un ultimo importante tassello per scrivere la parola fine sulla terza edizione di tale riuscitissimo Festival, quindi palco e microfono vengono lasciati a "sua rockità" Jeff Scotto Soto e ai suoi riformati Talisman, riuniti (in parte) appositamente per l'occasione a suggello di tale evento. Un'esibizione forse non impeccabile dal punti di vista estetico (con lo stesso Soto necessitante di almeno un paio di brani per iniziare ad ingranare al meglio, ed alcuni "solo slot" forse eccessivi a livello strumentale), ma al contrario indubbiamente riuscita dal punto di vista del coinvolgimento emozionale, con tanto di discesa tra il pubblico del riccioluto singer (un po' in pieno Ted Poley style), e la quasi "prospettata" riproposizione della universale "Purple Rain", dovuto omaggio alla recente scomparsa del globalmente noto "The Artist". Perfetti ed avvolgenti titoli di coda, insomma, nella spasmodica attesa che la versione 2017 della kermesse riesca, ancora una volta, a colpire cuori e sentimenti dei tanti aficionados al seguito dell'oramai rinomato marchio del Frontiers Rock Festival.
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