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BLUES PILLS + KADAVAR

La Nuclear Blast, si sa, è tra le prime al mondo nella capacità di promozione delle proprie band. Ed anche in questo caso non si smentisce, organizzando un tour che presenta come co-headliner due tra le band più in voga nel panorama blues rock internazionale: i Blues Pills e i Kadavar. L’interesse per questo tour si dimostra quindi molto alto. In questo tour rientra anche la data italiana di mercoledì 19 ottobre all'Alcatraz di Milano, che dimostra quanto i Blues Pills siano sempre stati molto apprezzati in Italia. D’altro canto c’è da segnalare alcune criticità riguardanti la gestione dei concerti dell’Alcatraz. Due su tutti, il personale della sicurezza che fa un sacco di storie nei confronti di chi vuole fare qualche foto vicino al palco, e soprattutto la politica gestionale del merchandising, che impone alle band di aumentare i prezzi dei loro prodotti, dando la maggiorazione al locale stesso, ed esponendo situazioni pessime come ad esempio i prezzi esagerati di alcune magliette e capi di abbigliamento delle band. Ti credo poi che la gente non compra con situazioni di questo genere. Meno male che c’è la musica a parlare per noi… 

L’Alcatraz non si presenta densamente pieno quando sul palco salgono gli sloveni Stray Train, praticamente dei debuttanti nella scena blues rock europea, formatisi nel 2015 e con alle stampe il debutto discografico di quest’anno dal “leggerissimo” titolo ‘Just ‘cause You Got The Monkey Off Your Back Doesn’t Mean The Circus Has Left Down’. Il loro è un blues rock dal buon tiro, ma generalmente dai ritmi e dai livelli standard, con delle buone giocate d’insieme ma che non osano a compiere il salto di qualità, la giocata vincente che fa esaltare gli ascoltatori. Nonostante questo, nella loro buona mezz’oretta di esibizione il pubblico ha discretamente apprezzato la loro proposta, senza infamia e senza lode. Si spera che con i lavori futuri le potenzialità della band possano crescere e possano inserire degli elementi che diano sferzate interessanti al loro sound.

Man mano la gente aumenta, e sul palco arrivano tre capelloni tedeschi talmente pieni di intenzioni positive che fanno presagire ad un show elettrizzante per gli amanti del genere. I Kadavar hanno rilasciato l’anno passato ‘Berlin’, che si è rivelato tra le migliori uscite discografiche non solo in ambito blues rock e stoner. Il fatto che la batteria di Tiger sia piazzata al centro del palco in posizione avanzata fa supporre che sia lui a trascinare per intero la band al suono ruvido e rutilante dei loro pezzi. E difatti così è, mettendo in mostra una performance incendiaria e pazzesca, come anche quella dei altri componenti; vengono alternati alcuni pezzi dell’ultimo album come le bellissime “Pale Blue Eyes”, “Last Living Dinosaur” e “The Old Man”, accanto a pezzi del loro repertorio passato come la dirompente “Doomsday Machine”. Il loro ritmo è assurdo e positivamente infernale, non ci si ferma un attimo di muoversi e di scuotere la testa, grazie alle sferragliate di Tiger che sembrava partire da casa sua per sferrare i suoi colpi di bacchetta e devastare la sua batteria, e Lupus Lindemann che disegnava linee di chitarra avvincenti ed infuocate unite alla sua caratteristica voce da uomo vissuto. E non solo musicalmente, ma anche con il pubblico la band non ha peli sulla lingua per protestare la politica dell’Alcatraz di dover aumentare il prezzo del merch del 25%, con l’aumento che va tutto nelle casse del locale, e che contemporaneamente disincentiva all’acquisto da parte dei fans. Un atteggiamento che ha portato la band ad invitare i presenti a boicottare l’acquisto di beni all’interno del locale contro questa scelta assurda. Fatto sta che è stata un’oretta vissuta in maniera sensazionale, con i Kadavar assoluti protagonisti della scena. Chissà se i co-headliner del tour saranno in grado di superarli…

L’ultimo album ‘Lady In Gold’ è stato accolto sostanzialmente bene dalla critica di settore, tralasciando però qualche riserva sulla scelta sia della band che della Nuclear Blast di rendere il sound più commerciale verso gli ascoltatori, snaturando forse alcuni elementi che nel scintillante debutto del 2014, e nel successivo live del Freak Valley Festival riprodotto su supporto discografico, erano dominanti. Fatto sta che gli svedesi Blues Pills affrontano questo nuovo tour internazionale da protagonisti, calcando palchi molto importanti in Europa. Una scenografia molto minimal, con questo opera optical sullo sfondo accoglie la band che inizia proprio con la title track del nuovo album, e mettendo in mostra sin dalle prime note una Elin Larsson spumeggiante sia vocalmente, che scenicamente, facendo svolazzare la sua lunga chioma bionda a proprio piacimento. Si continua con una versione prolungata di “Little Boy Preacher”, che con le linee sinuose di chitarra di Dorian Sorriaux viene interpretata in maniera seducente e propositiva. Quando però vengono interpretati i pezzi del primo album si sente quasi subito che hanno un tiro diverso ed una marcia in più rispetto ai pezzi nuovi: ne sono un esempio le interpretazioni di “Ain’t No Change” e più avanti di “High Class Woman”, con il pubblico che apprezza molto e la band più a proprio agio. Segue una “Little Sun” suonata a livelli dignitosi, e la cover di “Elements And Things” che, a mio modesto parere, è il pezzo più riuscito di ‘Lady In Gold’ e che sarebbe entrata a piè sospinto anche in ‘Blues Pills’. Il pubblico non aspettava altro, dopo uno show trascorso a livelli buoni ma non entusiasticamente eclatanti, che sentire Elin sfoderare la sua sontuosa ugola in “Devil Man”, un’ugola che può essere utilizzata ancora per qualche altra ora senza che perda di intensità, tanto è sensazionale. Il pezzo viene svolto in maniera pulita e senza particolari intoppi, con Elin che si rivela assoluta protagonista dello show; sensazione che rimane tale anche durante l’esibizione di “I Felt A Change”, con lei, la tastiera e un faro chiaro a lei diretto, ma soprattutto con la sua voce che tocca dentro ognuno di noi, e che può essere considerato il capitolo migliore della loro performance. Si chiude con “Rejection” e con “Gone So Long” un’esibizione che ha sì creato applausi, ma non così rumorosi come quelli precedenti durante l’esibizione dei Kadavar.

La sensazione finale è di una band che poggia praticamente tutto sulla presenza e sulle doti di Elin Larsson, riducendo gli altri (sì, anche Dorian Sorriaux) ad un ruolo di semplici comprimari che svolgono il loro compito senza strafare, ma senza neanche spiccare di originalità ed inventiva. Andando sul versante proprio di Dorian, si nota come anche in quest’occasione si dimostri sì bravo, ma ancora un po’ troppo “vanesio” ed adone nel suo modo di suonare il chitarra e di interpretare i brani. Deve convincersi di essere in futuro meno suonatore di cetra antica, e più chitarrista pratico, che faccia vibrare le corde in maniera più incisiva. È vero anche che i volumi sia della chitarra, che della tastiera sono stati forse un po’ troppo bassi, cercando di enfatizzare la voce di Elin. Fatto sta che anche questa volta è stata un’esibizione da bene ma non benissimo, e che non giustifica appieno il prezzo del biglietto. Si spera comunque che il seguito nei loro confronti rimanga tale, ma dovranno capire anche loro stessi che strada vogliono intraprendere in futuro, se tornare al vigore del primo album popure continuare a sperimentare con risultati tutti da verificare.

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