ZIDIMA
'Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare'. Credo che non ci sia titolo più adatto per sintetizzare la voglia e la ricerca di un contatto viscerale e passionale in questo periodo di snervante difficoltà, oltre che sanitaria, soprattutto emotiva. Su uno sfondo rosso sangue, una pennellata nera evidenzia un abbraccio che, in fondo, è tutto ciò di cui sentiamo sempre il bisogno, senza girarci troppo intorno. E' costruita così la copertina del nuovo album che, intitolato con la frase di apertura, simboleggia il ritorno discografico dei lombardi ZiDima. Il racconto di storie di vite vissute che fanno capo a determinati personaggi che sono ruotati nel contesto della band, rappresentandone la vera anima. Il tutto mantenendo una dimensione underground nella quale la band ci sguazza. Non potevamo, quindi, non parlare con la band al completo di tutto ciò che ruota attorno alle loro di vite, piene di coerenze.
Ciao ragazzi, e benvenuti su Hardsounds.it. Anche voi, come molte altre band italiane ed estere, avete affrontato il coraggio di pubblicare un disco nel bel mezzo di una situazione sociale piuttosto complicata. Come è stato per voi lavorare in queste condizioni, e che sensazioni avete avuto quando avete visto il prodotto finito? Manuel Cristiano Rastaldi (voce e parole): Ciao Raffaele, ben ritrovato. Quando abbiamo avuto in mano i vinili questa estate eravamo sinceramente emozionati, non tanto per avere affrontato o superato le complicazioni dovute a questa epidemia, quanto perché c'è stata una fase nelle recente storia della band in cui eravamo lontanissimi anche solo dall’idea di farlo un altro disco. Quindi per quanto ci riguarda nessun atto di coraggio: l'album è uscito con i nostri (lunghi) tempi e indipendentemente dalla situazione legata al Covid. Semplicemente quando avevamo tutto pronto e ben definito, video compreso, l’abbiamo pubblicato. Certo, il non poterlo portare a spasso sui palchi in questi mesi è difficile, ma sappiamo che quando si tornerà a una situazione di normalità o quasi, troveremo chi ci aspetta e ci saprà aspettare.
Francesco Borrelli (batteria, synth): Piuttosto abbiamo avuto la fortuna di poter finire il disco prima che la situazione scoppiasse. Nel primo lockdown è stato masterizzato e speravamo di farlo uscire quando avremmo potuto portarlo dal vivo. Quando è stato stampato ovviamente eravamo molto felici, e non vedevamo l’ora di portarlo in giro. Abbiamo sperato contro tutti i pronostici che non ci sarebbe stata un’altra ondata. Purtroppo sappiamo com'è andata, non è stato possibile programmare un tour, ma ci siamo accontentati di poterlo presentare dal vivo in Boccaccio, come volevamo. E ora non vediamo l'ora che la situazione si sblocchi.
Rispetto ai due dischi precedenti, ‘Cobardes’ e ‘Buona Sopravvivenza’, questa volta avete optato per un titolo più complesso, ‘Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare’. Questo lungo titolo è stato frutto di un vostro ponderato ragionamento? Che origini ha questa frase? Manuel: Mi piaceva l'idea di un titolo molto lungo come avevano fatto altre band italiane con cui ci sentiamo affini (ad esempio Marnero o Storm{o}) e dopo qualche perplessità sono riuscito a convincere gli altri. La frase è tratta dall’incipit di “Anna K.”, una delle prime canzoni su cui abbiamo lavorato, che dice: “Di tutto quello che è stato o non è stato dato / di questa vita passata aspettando una tregua/ di te che hai solo un ricordo e su ci scrivi tempesta / del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare”. Mi sembrava molto rappresentativa, anche perché descrive la fase che stavamo attraversando come gruppo. Peraltro in quel brano c'è anche una significativa parte di testo scritta da Giulio Bursi e tratta da “Così che non potranno più prenderci” dei The Death Of Anna Karina, altra band che ho amato visceralmente. Quindi sì, è un titolo più complesso ed estremamente lungo, forse pure un pò pretenzioso, e con più riferimenti e piccole citazioni, non ultima quella ai titoli dei film di Lina Wertmüller.
Franq: Il titolo è complesso forse perché riflette la complessità del momento, e non mi riferisco solo alla pandemia globale, ma all'evoluzione della globalizzazione che continua a manifestare i suoi effetti. Come riflesso alle aperture che offre un mondo globalizzato e connesso si sviluppano nuove paure e nuovi modi di comunicare e relazionarsi. Mentre dovremmo sentirci più uniti in un mondo globale appunto, molti ne vengono sopraffatti e quindi nasce il bisogno di chiudersi nella nostra piccola cerchia, cercando di aggrapparsi alle nostre vecchie certezze, alziamo muri, difendiamo i confini e alla fine ci sentiamo più lontani di prima. Forse più vicini in una realtà virtuale, lontana e mediata dai social, che in quella fisica e prossima.
Roberto Magnaghi (chitarra): Eh sì. Come dice Manuel, quando si profilò per la prima volta il titolo, la mente andò subito a Lina Wertmüller ed ai suoi “infiniti” titoli. E più il titolo si affermava tra i potenziali concorrenti (come sempre la scelta era tra alcune opzioni), più ci convincevamo che questo era esattamente il titolo giusto per questo disco. I brani, lontani da “semplici” canzoni, si allineano perfettamente con la loro memoria, le complessità, le crepe e le tempeste che suoniamo e cantiamo, in questo mare.
La vostra formula, anche in questo nuovo disco, sembra essere ancora la medesima: la proposizione di un noise alternativo che negli anni passati in Italia ha lasciato un segno. Il modo in cui lo fate penso sia ancora espressivo ed efficace. Da dove nasce questa vostra ispirazione e quali sono, secondo voi, i veri punti di forza di questo sound? Franq: Da quando sono nella band, la nostra musica è sempre stata molto istintiva. Tutti i pezzi sono nati e cresciuti in sala prove, fatta eccezione per qualche sovraincisione successiva. Questo ci ha permesso di fondere in maniera molto naturale tutte le influenze individuali, dall'indie rock e post rock degli anni 90, dal noise rock e rock alternativo degli anni 2000, fino al punk e all’hardcore più estremi. Forse è proprio questa miscela fatta di noise, declamazioni poetiche e ritmiche dalle dinamiche molto ampie, che vanno dalla ballad al pestone più serrato, e che permette di muoverci in uno spettro molto ampio di emozioni, a rappresentare il punto di forza del nostro suono.
Roby: Sì è vero, la formula è la medesima. Ci siamo molto interrogati su come e se evolvere e cambiare. Ogni gruppo, ogni forma musicale, ogni forma d’arte ha dentro di sé spesso anche i “germi” della evoluzione ed innovazione. Forse questo era il momento, invece, di ribadire alcune certezze, alcuni canoni che pensiamo possano essere più efficaci attualmente per trasmettere e comunicare a chi ci ascolta in modo genuino e senza sovrastrutture. Una musica diretta che ci auguriamo colpisca al cuore, cervello e stomaco come, mentre la eseguiamo, succede a noi.
Le canzoni del nuovo album si incentrano su sette (più uno) personaggi, che si suppone abbiano avuto un'influenza particolare sul vostro vissuto. Cosa rappresentano principalmente questi personaggi? Manuel: Rispetto ai due dischi precedenti, questo è quello in cui i testi hanno meno riferimenti personali. Anzi, si parte da un punto di vista completamente opposto: abbiamo infatti spostato l'attenzione dalle nostre inquietudini quotidiane a quelle di alcune persone con cui siamo entrati in contatto, raccontando quindi le loro storie. Sono storie reali che ci hanno colpito per le scelte che portano addosso, spesso estreme e liberatorie, e per il senso di rivalsa finale che ne emerge. Poi si è deciso, anche grazie ad input arrivato un pò per caso, di intitolare le canzoni con i nomi di questi personaggi, come se fossero dei ritratti. Essendo alcuni di loro amici stretti, il legame e l’empatia con queste vicende sono per noi quindi naturali e molto significativi.
Il segno pennellato in copertina raffigura uno di questi personaggi? Manuel: Per l’immagine di copertina io mi ero fissato con un’opera di un artista inglese anche piuttosto quotato, che aveva però un prezzo davvero improponibile per il nostro budget. Ma nonostante tutto, quell'illustrazione non riuscivo a tirarmela via dalla testa. Abbiamo superato quella fase di stallo solo quando abbiamo avuto la fortuna di incrociare Antonio Foglia, che è riuscito a realizzare un abbraccio altrettanto intenso e suggestivo, perfetto per rappresentare in maniera poetica ed emblematica il titolo e le tematiche dell'album.
Uno di questi brani, “Emme”, contiene un verso particolare che viene ripetuto più volte, e che ad una mente quantomeno sveglia dovrebbe simboleggiare una certa parte politica. Ritenete che oggi, brani di questo tipo possano ancora mandare un monito, un messaggio importante? Franq: "Emme" è un brano molto particolare. Avevamo voglia di lasciare fluire la vena più estrema e diretta e anche il testo ha seguito questa direzione. Non c'è spazio per il politically correct, è pura partigianeria, bisogna ammetterlo. Il messaggio di fondo è politico ed è antifascista. Bisogna ricordarci che la nostra costituzione si basa su questo principio, non dovrebbe appartenere solo ad una parte politica. Il modo di affrontarlo però è diretto e anche violento se vogliamo, non ci sono mezze misure. Ha quindi a che fare col paradosso della tolleranza. Se tolleriamo l'intolleranza rischiamo che essa si diffonda e prenda il potere.
Manuel: Con il testo di questa canzone ho un rapporto un po' contraddittorio, nel senso che sapevo avrebbe rischiato di diventare una sorta di manifesto “politico” della band, e non mi entusiasma l’idea che gli ZiDima possano venire in qualche modo percepiti come i 99 Posse della scena noise/rock (i 99 Posse comunque mi piacciono e li seguo da sempre). Infatti “Emme” la considero più uno sfogo di rabbia di cui non potevo evitare lo straripamento. Peraltro è una delle poche canzoni che così come è nata, così è stata registrata. Per quanto riguarda il contenuto, è ovvio che simboleggia una certa “parte politica”, e non mi voglio assolutamente tirare indietro da una presa di posizione comunque personale e chiara ed estrema. La mia volontà, nello specifico, era soprattutto quella di ricordare ancora una volta il male assoluto che ha rappresentato e tuttora rappresenta il fascismo (nelle sue varie forme) in questo paese, che non si dimentica né si può cercare di giustificare in alcun modo (“Non vi sopporto più, ambigui ed indulgenti, nostalgici del cazzo che inneggiate alla bandiera, alla patria, alla galera, alla caccia alla frontiera, lasciarvi appesi in piazza è sempre l’unica maniera. Come sventoli da appeso?”). Ho quindi voluto ribadire una distanza, marcare in maniera netta una posizione: perché non è vero che siamo diventati tutti così. E nel farlo ho ricordato che quella volta finì che il popolo dei tanto denigrati “buonisti” reagì in maniera emblematica. Quindi che sia intesa anche come una sorta di monito per me va benissimo. Perché sono davvero stufo marcio di sentire giustificazioni verso chi lascia morire le persone in mare con la scusa di difendere i confini, verso chi fa cortei autorizzati e protetti con le braccia tese vomitando slogan beceri, verso chi compie aggressioni a sfondo razziale restando sempre impunito. Nei confronti di questi sciacalli al potere e di questi disumani accecati dall’odio nessun tipo di giustificazione è per me più tollerabile. Detto ciò, i messaggi importanti credo arrivino dagli atteggiamenti, dai comportamenti. A me le canzoni con “messaggi politici importanti“ piacciono anche (e infatti la mia band preferita in assoluto sono i Rage Against The Machine, il cui messaggio attivistico è vincolante), ma non penso sia questo il compito principale di chi fa musica o arte in genere. Peraltro il fare canzoni “politiche” non è assolutamente una mia priorità, credimi. “Emme” è uscita di getto, come una reazione istintiva a un'ondata di odio che ti arriva addosso. Un pò come “Diaz” (presente nel primo disco, 'Cobardes' ).
Roby: Quello che colpisce e preoccupa è questa nuova ostentazione di vecchi miti folli e disastrosi per l'intera umanità e il senso di impunità di chi si pronuncia oggi fedele a queste ideologie. Purtroppo non sono bastati anni per chiudere definitivamente certi capitoli. Il contribuire alla memoria, a modo nostro, è anche un obiettivo di questo brano.
Ricollegandoci alla copertina, e credo in qualche modo anche alle vostre idee: cosa rappresentano per voi il rosso e il nero? Franq: Ogni riferimento è puramente casuale
Manuel: Raffaele, tu sai che fino a pochi mesi fa passavo le domeniche in curva sud, quindi ti lascio immaginare cosa significhi il rosso e nero per me ;-) Al di là di tutto, la copertina ha questo bellissimo disegno di Antonio Foglia che è stato realizzato in colore nero su sfondo bianco. L'abbiamo portato su sfondo rosso solo per per staccare maggiormente con la copertina del disco precedente (anche Buona Sopravvivenza ha un’illustrazione come immagine della cover, nera su sfondo bianco)
Roby: Dal bianco e nero di 'Buona Sopravvivenza 'al rosso e nero del nuovo disco. Da sempre colori all'opposto che ben si combinano anche per definire quello che suoniamo.
Nei dischi precedenti, forse a causa della produzione, la voce di Manuel risulta molto distintiva. Nell’album nuovo sembra invece venga data più enfasi alla rumorosità degli strumenti, e le parole di Manuel hanno bisogno di essere percepite in maniera più approfondita. Anche a voi coincide questa sensazione? È una questione di mera predisposizione all’ascolto? Franq: E’ stata una precisa scelta stilistica quella di portare la voce all'interno del mix, e per volontà di Manuel stesso. Questo ci avvicina di più ad un attitudine punk e hardcore, insieme ai testi più urlati che cantati (più che nell’album precedente). Anche in questa scelta si può riconoscere il tentativo di portare il sound a toccare delle punte più estreme rispetto al passato.
Manuel: Esattamente, è stata una volontà precisa. Ho chiesto a Franq e a Fabio Intraina del Trai Studio (entrambi si sono occupati dei mix) di tenere la voce un po' più sotto rispetto al passato. Proprio perché volevamo dare più risalto ad esempio alle chitarre ed estremizzare l'impatto degli altri strumenti. Poi ormai quando sento la voce in primissimo piano in un album capisco subito che si tratta di “rock italiano”. All'estero mi sembra la voce sia considerata più come uno strumento, quindi livellata diversamente, certo non viene messa davanti a tutto. E ad esempio i dischi che citavo prima (Marnero e Storm{o}, ma non solo) sono produzioni italiane che però vanno in questa direzione.
Avete lavorato a questo disco in uno dei luoghi a cui tenete maggiormente, il FOA Boccaccio a Monza. Un luogo, come d'altronde tutti gli spazi occupati, che hanno un passato sia fisico che sociale ben radicato, e che hanno un presente ed un futuro sempre incerti. Cosa rappresenta per voi questo luogo? E se in quest'ultimo periodo è stato possibile tenerlo vivo. Cosimo Porcino (basso, cori): Non è semplice riuscire a spiegare cosa rappresenta il Foa Boccaccio per noi. Negli ultimi 10 anni è stata la nostra casa, nonchè sala prove, set fotografico, video, ma anche un palco bellissimo da calcare ed in generale un luogo su cui abbiamo investito mille energie e mille sforzi. Come hai ben esordito tu, questo luogo ha una funzione molto importante e connotata in una città come Monza ed è stato lo spazio che ci ha permesso di sperimentare e praticare il DIY in ambito musicale, ma non solo. Purtroppo in questo momento i locali che ospitano il Foa Boccaccio sono oggetto di mire speculative da parti di alcuni imprenditori locali che vorrebbero distruggere tutta la struttura attualmente esistente (un campo da calcio costruito nei primi anni del 1900) per creare una palestra di arrampicata, la sede di una associazione che si occupa di montagna (il CAI), ma soprattutto ristoranti di lusso e negozi. Nonostante ciò siamo consapevoli che non saranno le ruspe a fermare le nostre idee e che insieme al collettivo monzese, non lasceremo che facilmente ci portino via lo spazio che ci ha permesso di continuare a fare quello che volevamo con la nostra musica. Porteremo sempre la solidarietà verso questo luogo e ci impegneremo ancora affinché esista. In questo ultimo periodo ovviamente non è stato semplice riuscire a frequentare il Foa Boccaccio come eravamo abituati a farlo, ma vi invitiamo a controllare sempre i social e il blog del Boccaccio per rimanere aggiornati sulle iniziative che nonostante tutto si riescono ancora a fare. Ovviamente niente concerti per adesso, ma in Boccaccio si trova sempre qualcosa da fare.
Voi siete da sempre sostenitori dell’approccio DIY (Do It Yourself), una concezione che ha dato il suo importante contributo allo sviluppo della musica underground. Attualmente, che prospettive ha quest’approccio? Manuel: Guarda, noi l'approccio DIY l'abbiamo dal primo giorno in cui abbiamo suonato insieme. L’editing dell'album l'ha fatto Franq, che ha curato anche i mix con il Trai. Il disco precedentemente l'ha registrato e mixato tutto lui, da solo. Non abbiamo mai avuto una vera produzione artistica, forse perché non riusciamo a staccarci neanche minimamente dalla nostra musica. Comunque con questo nuovo lavoro siamo felicissimi di aver coinvolto ben 8 etichette, il cui contributo è stato fondamentale per arrivare a stampare in vinile e prezioso anche a livello umano per contatti, consigli e suggerimenti, oltre che per far girare bene il disco. Ma anche a questo giro, di tantissimi aspetti ce ne stiamo occupando noi, proprio perché sono anni che ci divertiamo a farlo. Ad esempio Franq ed io adesso stiamo curando tutta la promozione legata all'uscita del disco come un vero ufficio stampa: da mesi contattiamo riviste, blog e webzine per possibili anteprime, recensioni e segnalazioni (e per fortuna ne stanno arrivando davvero tante e spesso molto positive), impacchettiamo e spediamo vinili, cd e cd promo (questi li ho proprio masterizzati, timbrati e confezionati io), curiamo la comunicazione sui social. Abbiamo diversi file excel aperti che teniamo in costante aggiornamento, ci dedichiamo tempo e attenzione proprio come se fosse un lavoro (e chissà che in futuro non lo si fondi davvero un ufficio stampa, il nome lo abbiamo già ed è tutto un programma: Telesuono!). Cosimo invece si è sempre occupato di tutta la gestione dei live, lui è la nostra booking.
Roby: Innegabilmente l’approccio DIY ha tanti vantaggi in termini di libertà espressiva, creatività e scelte che riguardano il gruppo. Questa attività è nel contempo molto impegnativa sotto vari aspetti per chi se ne occupa. Da questo punto di vista le collaborazioni con le etichette, con altri gruppi e/o singoli musicisti, possono aiutare a far crescere non solo il singolo gruppo ma l'intero movimento che si possa definire veramente “indipendente”. Riuscire a fare un passo avanti nello sviluppo della rete, a beneficio di tutti, potrebbe essere un prossimo obiettivo comune.
Cosimo: Per noi il DIY non è solo una scelta, è una necessità. Crediamo fortemente in quello che facciamo tanto da pensare di poterlo fare da soli o solo con chi ha un'idea simile alla nostra. Inoltre non credo di riuscire ad immaginare un mondo musicale, senza scena DIY, perché le cose belle nascono così, dalla forte spinta motivazionale che ti porta a credere talmente in quello che fai che sei disposto a fartelo anche da solo e senza l'aiuto di nessuno. Non ci sono prospettive, ma solo la volontà di portare avanti le nostre convinzioni e la nostra forma d’arte.
Quali sono le band e le varie figure che lavorano nel mondo della musica che, secondo voi, possono ancora mantenere il senso di questa attitudine? Manuel: Abbiamo condiviso il palco con un sacco di gruppi che mantengono un’attitudine DIY e con cui è sempre un piacere ritrovarsi, confrontarsi e organizzare eventi/serate/festival. Per fare qualche nome dico Fuzz Orchestra, Marnero, Storm{o}, Ruggine, i Fasti, Selva, Il Vuoto Elettrico, Devocka, Kalashnikov Collective, Filthy Generation, The Seeker. E sicuramente sto dimenticando qualcuno. Con il tour del disco precedente abbiamo avuto modo di vedere con i nostri occhi il fermento che si è sviluppato attorno a questo giro legato ai centri sociali e agli spazi occupati, e mi auguro che una volta superata l'attuale emergenza ci si possa ritrovare tutti ancora più carichi: band, pubblico, collettivi. Credo che ci sarà una grande voglia di concerti in generale, ma allo stesso tempo temo che ci saranno meno occasioni: a Milano e in Lombardia in questi mesi molti circoli e locali anche storici hanno chiuso, e i centri sociali sono costretti a battagliare per difendere spazi e ideali. Probabilmente tutta la scena della musica dal vivo “alternativa” dovrà reinventarsi, ma mi piace anche pensare che questa sarà un'occasione per trovare nuove soluzioni e diverse modalità per esprimersi, per fare le cose ancora meglio.
In conclusione, spiegate un valido motivo per ascoltare gli ZiDima e per credere ancora nella musica underground. Manuel: Chi ci conosce troverà anche in questo lavoro l’emotività che credo accompagni ogni nostro disco, per alcuni aspetti qui rappresentata in maniera ancora più esasperata. Per chi ci scoprirà adesso, questo album è il nuovo passo di un lungo percorso, iniziato alla fine degli anni '90. Diciamo che il tempo trascorso non ci ha affatto ammorbiditi, tutt'altro, e che 'Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare' piacerà a chi continua ad ascoltare un certo tipo di rock violento e viscerale.
Cosimo: Noi sentivamo ancora voglia di piangere, sorridere, arrabbiarci, gioire, saltare, correre, imprecare, parlare, ascoltare, abbracciare, picchiare così abbiamo ripreso gli strumenti in mano e abbiamo provato a trascrivere le nostre emozioni ancora una volta dentro un album. Se avete 30 minuti di tempo per provare a mettervi sui binari della nostra musica, abbiamo disegnato questo itinerario per condividerlo.
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