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BLACK RAINBOWS

Tenendo ben presente l'obiettivo di mantenere sempre l'asticella ben alzata, i romani Black Rainbows vogliono rimanere saldamente in pista nel vasto panorama stoner europeo. Il nuovo album 'Cosmic Ritual Supertrip', fin dalle parole che compongono il titolo, è una chiara dichiarazione d'intenti riguardo alla meta ideata dalla band, nonché testimonia l'amore viscerale ed indissolubile che lega la mente del leader Gabriele Fiori a tutto l'immaginario spaziale e lisergico caro a questo sottogenere del rock. Abbiamo fatto una chiacchierata proprio con il cantante-chitarrista, che ci ha descritto i maggiori punti d'incontro dell'album, oltre a tutto ciò che ruota attorno alla sua creatura parallela, la label Heavy Psych Sounds, senza la quale forse nessun album dei Black Rainbows avrebbe visto la luce.

Ciao Gabriele, e benvenuto su Hardsounds.it. Nonostante questo difficile periodo, ti ho visto molto attivo sia per la promozione del vostro nuovo album ‘Cosmic Ritual Supertrip’, che per i lavori della tua etichetta Heavy Psych Sounds. Questo periodo può aver significato un ulteriore stimolo a continuare a crederci nella musica underground? Sicuramente gli sforzi fatti per continuare a tenere duro durante questi mesi testimoniano il fatto di crederci in questa scena in maniera importante. Questa scena va oramai avanti da trent’anni, e per più di vent’anni è sempre rimasta davvero nell’underground più incredibile. Negli ultimi 7-8 anni viviamo in un periodo che può definirsi una ‘golden age’, quindi un periodo incredibilmente proficuo su tanti fronti, dai festival alle etichette, dalla quantità e qualità di band fino alle varie date e tour. Abbiamo vissuto periodi molto più bui di questo, dato che seguo questa scena praticamente da sempre, suonando anche nei primi anni Duemila quando c’era veramente poco. Non so se posso dire se questo periodo attuale dia un ulteriore stimolo; sicuramente questa è una scena dura e pura e si va avanti, si continua sempre nonostante tutto, avendo toccato per tanti anni i momenti più bassi.

Veniamo al nuovo capitolo in casa Black Rainbows. Secondo me, le tre parole che segnano il titolo sintetizzano in maniera ideale il vostro modo di concepire la musica che suonate e tutto il contesto che le ruota attorno. Riesci, per ognuna di queste tre parole, a darmi un significato legato al disco e al vostro stile, non solo musicale? Lasciando un attimo da parte il discorso musicale, posso dirti che riguardo il lato dell’immaginazione (e come puoi vedere dalla copertina del disco) abbiamo chiesto al nostro illustratore di riuscire ad unire le nostre tre componenti che sono lo space rock, la psichedelia anni ’70 e l’heavy rock. Credo che lui ci sia riuscito. Gli avevo proposto dei pattern di strisce che lui ha seguito e che sono presenti nella copertina, rispecchiando l’atmosfera anni ’70. Continuando a parlare di essa, sono presenti le ali stile Hawkwind e lo spazio all’interno del teschio, che simboleggiano il nostro space rock, e il teschio stesso che ricorre spesso come figura e che ci piaceva inserire, denotando un immaginario heavy rock. Secondo me, più che la distinzione ‘Cosmic’ ‘Ritual’ e ‘Supertrip’, vedo più quella ‘Cosmic Ritual’ insieme. Ovviamente la parola ‘Cosmic’ evoca tutto un discorso space, ma è l’associazione ‘Cosmic Ritual’ che vuole ricordare un po’ gli Hawkwind, molto ‘space ritual’. Quindi, alla fine, sono due parole associate insieme per intendere questa dimensione. E invece ‘Supertrip’ guarda più all’acid rock psichedelico degli anni ’90, vicino ai Monster Magnet. Mi sembrano questi i significati che si legano di più al disco e allo stile. Infine, per riassumere il discorso musicale, noi siamo una band che segue questa linea chiara e netta di stoner classico anni ’90, space rock e hard rock anni ’70.

Riascoltando l’album, trovi dei punti di stretta convergenza con i dischi precedenti, dal punto di vista di tematiche espresse, di modi di suonare, ecc., oppure c’è qualcosa che in passato non avete mai affrontato? Per quanto riguarda le tematiche affrontate nei testi, siamo sempre rimasti legati ad un modus operandi che spazia da temi visionari riguardanti il cosmo, lo spazio, i pianeti, i satelliti, gli asteroidi, ecc. Inoltre abbiamo sempre affrontato storie ed esperienze vissute direttamente o indirettamente, anche immaginarie a volte, legate per esempio al mondo dei bikers e a tutto l’immaginario psichedelico degli anni ’70. La differenza con i dischi precedenti riguarda la produzione; penso che la produzione di questo disco sia stata la migliore finora eseguita, e la registrazione è stata fatta molto bene.In passato abbiamo optato per registrazioni in un certo senso amatoriali, ad eccezione di ‘Pandaemonium’ dove avevamo già scelto questo studio di ottimo livello, dal quale però non eravamo ancora riusciti a tirare fuori i suoni giusti. Invece il nuovo disco ha esattamente il match perfetto tra sonorità della band e suono tecnico effettivo che è uscito fuori, e che si sposano insieme riuscendo a dare all’ascoltatore quello che volevamo. Ci abbiamo messo otto dischi, ma alla fine ci siamo riusciti.

Prima che uscisse l’album, avete reso disponibili ben tre brani. Sono per voi i brani che maggiormente esprimono il senso dell’album? Non credo, perché penso che l’album sia un concept a sé che ha vari momenti, e questo disco esprime tutti questi momenti, facendo rendere la qualità delle canzoni tutte allo stesso livello. Sicuramente, in questi ultimi tempi è importante agganciare un ascoltatore in maniera immediata, il quale ha bisogno di brani più diretti ed accattivanti. Abbiamo quindi scelto dei brani che sicuramente ci piacevano, e che abbiamo reputato fossero adeguati per essere usati come “singoli” e per arrivare subito in maniera diretta. Però, in generale, ci sono vari momenti nel disco tali per cui questo deve essere ascoltato per intero.

Inoltre, cosa vi ha spinto in maniera forte svelare alcuni contenuti del disco nuovo prima dell’uscita? Sicuramente, con il Covid abbiamo dovuto riorganizzare un po’ il tutto. Con Heavy Psych Sounds siamo soliti fare l’anteprima di tre brani, più l’ascolto intero dell’album appena prima dell’uscita. Avevamo fatto un videoclip, e poi sono capitato per caso su Youtube e ho trovato un altro video che mi piaceva mettendoci sopra uno dei nostri brani, rendendolo poi un video ufficiale. Alla fine, abbiamo fatto quattro anteprime dei brani, e la promozione si è diluita enormemente perché abbiamo dovuto posticipare la data di uscita dell’album, anche se nel frattempo avevamo già annunciato quasi tutto facendo delle première. Un po’ ha giocato il discorso del ritardo delle uscite e dello spostamento delle date, e un po’ anche perché mi piace l’idea di sperimentare in maniera leggera con la promozione per vedere i vari risultati. Alla fine, questo è un modo di lavorare che abbiamo scoperto nel tempo. Noi vogliamo aiutare l’ascoltatore (potenziale acquirente o fan che sia) a svelare lentamente il disco, non rendendolo un segreto come si usava fare negli anni ’80-’90 dove la gente andava a comprare i dischi. Ora bisogna portarglielo proprio sotto al naso, bisogna fargli capire cos’è questo prodotto, se gli può piacere, e quindi aiutarci a venderlo.

Copertina di 'Cosmic Ritual Supertrip', uscito il 25 maggio per Heavy Psych Sounds Records

Recentemente, la vostra line-up è stata nuovamente rinnovata, seppur a lavori dell’album praticamente conclusi. Che spinta positiva può darvi uno come Edoardo Mancini alla band, e qual è l’eredità più importante che il vostro precedente bassista Giuseppe Guglielmino vi ha lasciato? Edoardo è colui che ha registrato il primo disco dei Killer Boogie, la band parallela e side-project dei Black Rainbows; lo conosco da tempo ed è sempre una persona disponibile, tranquilla ed è molto bravo dal punto di vista musicale. Purtroppo non siamo riusciti a lavorare tanto insieme, anche se avremmo dovuto; abbiamo giusto fatto qualche concerto ed a vederci un po’ di volte. L’eredità che ci ha lasciato il vecchio bassista non è delle migliori, il rapporto non è finito in maniera felice. È stato come levarsi un sasso dalla scarpa, perché la situazione era diventata piuttosto pesante. Purtroppo questo può succedere, non è colpa di nessuno ma è colpa di tutti. Però devo dire che la sua uscita è stata una ventata di freschezza. A volte i rapporti tra i musicisti sono come i rapporti con i propri fidanzati, si possono logorare nel tempo e capita di lasciarsi. Alla fine non ci siamo lasciati così male, ma non per motivi tecnici quanto personali.

Vorrei scegliere qualche brano del nuovo disco. Il primo è “Hypnotized By The Solenoid”, un brano che sin dal primo ascolto mi ha emozionato, con quel vortice lisergico che aumenta d’intensità sino alla fine. In che modo si è sviluppato questo brano? Al contrario degli altri brani del disco che hanno una struttura ben definita (strofa-ritornello ecc.), questo è uscito un po’ a sorpresa. In generale, quando registriamo i dischi, ci sono dei brani che all’inizio sembrano funzionare molto bene ed altri meno. Poi li analizzi meglio, ci devi mettere sopra le voci, gli assoli, gli arrangiamenti, mixaggio e mastering. E alla fine, vedi che il prodotto cambia totalmente; quel pezzo che credevi fosse il più bello diventa meno bello, e il pezzo che prima non ti aspettavi invece sale nella classifica personale di gradimento. Questo è uno di quei pezzi, nato un po’ a sorpresa che potenzialmente poteva essere un bel pezzo, ma non lo sapevamo finché non ci registri tutto quello che serve, tra assoli di chitarra, distacchi di batteria, ecc. Ha anche una composizione diversa dal solito, è un brano che ha diverse fasi, parte in maniera tranquilla e poi, crescendo, esplode nella parte finale. È un brano che è uscito fuori all’ultimo e mi fa piacere che sia stato recepito bene.

Inoltre, lo reputo tra quei brani che segnano in maniera indelebile gli album, come (a mio parere) la title-track di ‘Hawkdope’, “Golden Widow” contenuto in ‘Stellar Prophecy’ e “Grindstone” contenuto in ‘Pandaemonium’. Tutti questi brani sono per te quelli più significativi della vostra discografia? O ne esistono altri per voi fondamentali? Secondo me ci hai azzeccato alla grande. Questi brani fanno parte di quel sottogruppo di canzoni che possono definirsi poliedriche. Io, per esempio, sono un grande fan dei Motorpsycho, e di loro preferisco proprio questa loro poliedricità. Ovviamente, noi Black Rainbows non facciamo quello che fanno loro, ma personalmente ho ereditato questa loro caratteristica. Cerchiamo a nostro modo di riuscire ad offrire dei brani più diretti, stoner classici, e brani come questi di stampo più heavy-psych, delle ballate cosmiche se vogliamo chiamarle così, oltre a brani più acustici. Abbiamo una gamma diversa di brani, cercando di affrontare diverse fasi all’interno del disco stesso. In ogni disco c’è il brano più tranquillo, quello acustico, poi i vari brani più diretti, e poi c’è questo gruppo di brani più psichedelici. Devo dire che non abbiamo brani più significativi di altri, proprio perché ogni disco è composto da varie fasi che mi piace riprodurre. Quindi non ci sono brani che apprezzo troppo più degli altri; chiaramente me ne piace di più qualcuno, ma non di troppo.

Un altro brano che vorrei segnalarti è “Searching For Satellites Part I & II” che, come sound ma anche come ricerca dei temi trattati, mi ha ricordato il tuo disco in acustico a nome The Pilgrim. Trovi anche tu delle congruenze, o per questo brano c’è una storia a sé? Assolutamente ci sono delle congruenze con The Pilgrim, vale a dire il filone acustico dei brani. Ma questo filone acustico proviene, a sua volta, dai Black Rainbows stessi. Su ogni disco dei Black Rainbows, e credo anche con la mia vecchia band Void Generator, c’è sempre stato un brano psychedelic-folk acustico. Si è sempre cercato di mettere un brano acustico per spezzare l’andamento heavy degli album. Nel tempo, questo filone acustico si è sviluppato in The Pilgrim, che è stato ulteriormente arricchito. Di tutte le canzoni fatte con The Pilgrim, quelle che reputo più space le seleziono e le faccio buone per i Black Rainbows.

Che sensazioni ha dato a te ed a Filippo Ragazzoni produrre un disco di quel tipo? Per me è stato molto soddisfacente. Quando sei abituato a lavorare su una certa tipologia di brani e di approccio molto pesante, dedicarsi ad un progetto come The Pilgrim è stata una nuova esperienza molto bella e molto divertente. Il disco che abbiamo fatto ci ha messo tanto per partorire, erano anni che ce l’avevo in cantiere. Quando finalmente ho deciso di metterlo in atto, i brani mi sembravano vecchi e l’ho riscritto da capo, e quindi tutti i brani in esso contenuti sono cose fresche. Anche per Filippo, essendo lui un batterista rock ed heavy,è stata un’esperienza nuova. Ha avuto anche un discreto successo, è andata meglio di quanto potessi aspettare.

Gabriele Fiori (voce e chitarra) (ph: Jörg Steinhauer)
 
A livello di prossima promozione dell’album, come vi state comportando stante l’attuale periodo? La promozione era già tutta pianificata. Avevamo tre ‘press agent’ (una per l’America, una per Germania, Austria, Svizzera e altre parti d’Europa, e una soprattutto per Italia, Francia e Inghilterra) che si comportano di conseguenza, lavorando e contattando tutte le riviste. Da parte dell’etichetta avevamo acquistato un po’ di spazi pubblicitari dai quali, purtroppo, ho dovuto fare un passo indietro. Attualmente lavoriamo molto on line, sui social, cercando di spingere in quello spazio, dato che le vendite, fino a questo momento, si sono spostate molto sul sito di Heavy Psych Sounds, quando in generale abbiamo una distribuzione piuttosto buona, efficace ed abbastanza larga. D’altro canto, essendo molti negozi di dischi chiusi qualcuno si è attrezzato con i delivery, che però non producono un grande effetto. La promozione, comunque, è circolata; il disco è già uscito in formato digitale ed abbiamo ricevuto dei buoni feedback, sotto forma di recensioni ed interviste come questa che stiamo facendo.

Volgendo lo sguardo sulle attività della tua label, se invece le nuove pubblicazioni stanno andando avanti in qualche modo, i festival HPS programmati all’estero sono saltati purtroppo. Stai lavorando per trovare il modo di recuperare il lavoro perduto? Abbiamo provato a recuperare ed a spostare le date, ma abbiamo visto che non c’erano margini per poterlo fare. Abbiamo dovuto cancellare i festival di Los Angeles, San Francisco, New York (che era una new entry); anche il festival in Svizzera (anch’esso new entry), e probabilmente salteranno quelli di ottobre di Innsbruck e quello di dicembre di Berlino e Dresda. Da un lato ci dispiace, ma dall’altro devo dire che stiamo un po’ respirando perché negli ultimi tempi non ci siamo mai fermati. Adesso cominceremo a lavorare per il 2021, cercheremo di recuperare alcuni di questi festival l’anno prossimo, altri invece li abbiamo proprio cancellati.

Della famiglia HPS, qual è il disco che più ti ha emozionato e sorpreso? E quale, tra gli album in uscita, vorresti consigliare al pubblico? Io cerco di non ragionare su quello che personalmente mi piace, altrimenti avremmo fallito già da tempo. Spesso e volentieri, quelle band che hanno incontrato i miei gusti sono anche quelle che non hanno venduto molto, come ad esempio il disco degli Old Man Lizard, fatto proprio col cuore, oppure quello dei Monsternaut. Nella storia dell’etichetta, devo dire che gli Acid Mammoth sono stati una grande scoperta, sia discografica sia di vendite che sono andate molto bene. Unendo le tue due domande, ti posso rispondere che una band che mi ha piacevolmente sorpreso e che uscirà a breve con l’album sono gli Orgöne, che stanno per pubblicare un disco che racchiude space rock, occult rock, avantgarde ed heavy psichedelico, con un tocco anni ’70. Un disco da ottanta minuti! Quando l’ho visto ho detto: “No ragazzi, non va bene… Discograficamente parlando, non è un disco che si può proporre. Un disco da ottanta minuti, dovremmo fare un doppio LP ed è costosissimo, una palla clamorosa…”. Stavo quasi per non farlo, proponendogli un’edizione più ristretta da quarantacinque minuti. Ad un certo punto, loro sono stati collaborativi dal punto di vista anche economico, e quindi chissenefrega… Abbiamo fatto questo doppio vinile da ottanta minuti, un bellissimo viaggio galattico, spaziale, cosmico, con un germe dell’antico Egitto dall’aspetto occulto e visionario. Un band fighissima, assolutamente da scoprire.

Per finire, dammi uno motivo valido a chi, magari, non vi segue di frequente per ascoltare ‘Cosmic Ritual Supertrip’ ed i Black Rainbows in generale. Innanzitutto, perché ‘Cosmic Ritual Supertrip’ è su tutte le piattaforme: su Youtube, su Spotify, ecc. lo si può ascoltare tranquillamente e gratuitamente in streaming. Lo puoi scaricare, puoi acquistare le versioni in vinile e in CD. Soprattutto le versioni in vinile sono fichissime e ce ne sono due versioni: una in vinile singolo con dieci tracce che è anche meno costoso, e un’edizione ultra limitata in doppio vinile gatefold con due bonus tracks e con i testi a supporto. Dal punto di vista compositivo, secondo me sarà uno dei dischi più interessanti dell’anno, anche per come si è sviluppata la produzione. È interessante vedere dove sono arrivati i Black Rainbows al loro ottavo disco; poteva essere una cagata, e invece cerchiamo sempre di migliorarci e di proporre al pubblico qualcosa di nuovo e di buono. Onestamente devo dire che è un bel disco. Personalmente, i dischi dei Black Rainbows non li ascolto molto spesso. Invece questo l’ho gradito molto, anche perché la produzione corrisponde finalmente al suono della band, c’è questo match fantastico dove i suoni prodotti rappresentano i riff che davvero volevamo. Ti ringrazio ancora per l’intervista. Un abbraccio!

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