THE ARISTOCRATS
Se il vostro sogno è vedere un concerto senza ritrovarvi circondati di gente che canta a squarciagola o continuamente con il cellulare in mano a far foto e video con il flash, allora un concerto degli The Aristocrats è il vostro show ideale. Difatti, quella sera al Crossroad Live Club, il 22 febbraio scorso, era vietato fare foto e video, Gli stessi artisti hanno chiesto appena saliti sul palco di spegnere il cellulare e cercare di godersi il più possibile lo spettacolo. Lo show inizia con "Blues Fuckers", canzone che riprende inevitabilmente lo stile e l’impostazione del blues, e per usare un termine più accademico rispetto al titolo della traccia, li stravolge: a tratti accelerando e rallentando all’improvviso, o non rispettando la suddivisione delle battute, pur mantenendo il colore del genere. In questa esecuzione, come nelle altre tracce che hanno composto la scaletta della serata, è difficile dire chi dei tre componenti la faceva da padrone della scena. Forse Marco Minneman con la sua partitura di batteria ed i suoi vari virtuosismi, e va ricordato un momento in particolare a suo riguardo: un’assolo di diversi minuti che ha lasciato il pubblico e persino il chitarrista Guthrie Govan ed il bassista Bryan Beller ammaliati in silenzio durante l’opera.
L’affiatamento del gruppo si sentiva ed era palese a tutto il pubblico che assisteva. I virtuosismi seguitano con le tracce estratte dal loro ultimo album ‘You Know What… ?’: “D-Grade Fuck Movie Jam”, che ricorda il grunge nel lavoro sinergico di batteria e chitarra, e “Spanish Eddie”, che riprende caratteristiche e ritmo della musica spagnola da corrida e la contamina con un intermezzo djent sul finire, qui fondamentale la linea di basso che rende piena l’esecuzione del pezzo. Il pubblico anche qui in silenzio ripaga alla fine con applausi, ma mantenendo pur sempre un senso di calma e compostezza a cui solo a concerti di questo calibro si può assistere e specialmente rimane affascinato, come il sottoscritto, durante "Flatlands", traccia di punta del gruppo, che sa trasportare la mente dell’ascoltatore e ammalia in particolar modo durante l’assolo di chitarra. Uno show che ha saputo intrattenere sotto tutti i punti di vista, uno spettacolo forse non per tutti, ma adatto certamente a chi sa apprezzare musica strumentale d’alto livello. Giustamente, va sottolineata anche l’acustica del locale, senza la quale uno spettatore non sarebbe stato in grado di cogliere le varie sottigliezze di ogni pezzo suonato, specialmente in tracce come “Desert Tornado” o “Smuggler’s Corridors” in cui, in quest’ultima, si è potuto assistere ad un coro fatto dal trio, Uscendo dal locale, dopo un dovuto stop al banco del merchandise, non si può che rimanere con un senso di pienezza intellettuale che pervade per il resto del tragitto verso casa. Un’esperienza da ripetere e da vivere per chi ne ha l’occasione.
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