MGLA
Il momento tanto atteso è finalmente arrivato: fanno tappa a Roma i blackster polacchi MGLA. Probabilmente la band black metal più importante del momento a livello mondiale, rappresenta la scena attualmente più florida – quella polacca, appunto – che ha surclassato la vecchia scuola norvegese (sempre attiva, ma più in ombra rispetto al passato). Non a caso ad attenderli c’è un locale stracolmo di gente, davvero tanta considerato che parliamo di un concerto di musica estrema. Il paradosso, in realtà, ampliando il focus, è che ciò che un tempo era di nicchia – come il death, il brutal, il black – adesso attira più gente dei generi cosiddetti classici, come l’heavy, il power, il thrash. Curioso. Ad aprire il live gli Odium Humani Generis, che a causa di orari sempre più simil-lombardi e di ingorghi invece tipicamente capitolini, il sottoscritto non è riuscito ad ascoltare. Per fortuna arrivo in tempo per assistere all’esibizione degli In Twilight’s Embrace, death-blackster connazionali dei MGLA. Confesso una certa curiosità al riguardo, poiché un mio amico polacco me ne aveva parlato molto bene. In effetti la band che fa da spalla a M. e Darkside si distingue per una performance solida, onesta e ispirata. Certamente non indimenticabile, ma introduce degnamente quelli che saranno i suoni glaciali dei protagonisti della serata. Varrà la pena approfondirli anche in studio. Con cinque minuti d’anticipo e senza alcuna particolare introduzione, senza fanfare né entrate sceniche, alle 22:10 i MGLA salgono sul palco e iniziano ad asfaltare il pubblico con “Age Of Excuse II”. Con un coraggio notevole – sfidano l’afa romana suonando per l’intero live con felpa, chiodo e passamontagna – e una calma innaturale, inondano Largo Venue di melodie apocalittiche e ritmiche marziali. Già, Largo Venue - mi soffermo un attimo sulla location: che suono! Non è una novità d’altronde. Volumi adeguati al genere – alti come la fiamma nera del black – e nitidi come l’esecuzione dei brani da parte dei musicisti polacchi. Tutto a regola d’arte, insomma.
A proposito dell’attitudine dei MGLA, invece: alcuni si lamentano del fatto che siano eccessivamente freddi e nient’affatto partecipi. Vero, verissimo. Ma è palesemente una scelta estetica, e forse anche ideologica. Niente fronzoli, niente chiacchiere, niente forma – solo sostanza. Una granitica, violenta e nichilistica sostanza: questo è la loro filosofia. Ad assistere a un concerto dei MGLA (la pronuncia è mgwa e significa “nebbia”, ndr) si ha l’impressione di fare da spettatori all’avanzata di una colonna di carri armati in campo nemico. Un’avanzata a cannoni spianati, ovviamente. Non sono atmosferici e mistici come gli Emperor o i Satyricon, e nemmeno funerei e malsani come i Mayhem o i Marduk. I MGLA sono, piuttosto, spietati e cinici come una blitzkrieg (=guerra lampo, ndr). Come spesso accade la parte finale del concerto è la più bella, la più impressionante – “demoliscono tutto”. L’unica pecca, almeno per il sottoscritto, è l’esecuzione un po’ troppo monocorde del brano finale, “Age Of Excuse VI”, forse il mio preferito, che dal vivo non riproduce il crescendo apocalittico che c’è sull’album. Ma nessuno è perfetto, quindi ce lo facciamo andar bene. Attendiamo con ansia il nuovo album e, magari, una nuova calata in terra romana. I MGLA sono una certezza e ci auguriamo che abbiano lunga vita. Ovviamente adornata con la morte. (cit.) “And here it is, grown from within, An invincible stronghold, adorned with death” (Exercises in futility V, MGLA).
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