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BRUTAL ASSAULT FESTIVAL 2017

Due anni fa il MetalCamp in Slovenia, quest'anno il Brutal Assault, praticamente i due festival più a misura di fan disponibili sul mercato europeo. Troppo grandi e dispersivi i rinomati Hellfest e Wacken, troppo lontani quelli scandinavi, nell'imponente fortezza Josefov a Jaromer, a un centinaio di chilometri da Praga, possiamo godere letteralmente di un festival pressochè perfetto, dove anche cibo, stand ricchi di Cd, Lp e maglie ed un cinema dedicato ai cult dell'horror ci consentono, oltre ai live, un soggiorno ricco di alternative. Non resta che concentrarci sulla musica, con un bill quest'anno più che mai variegato e ben quattro palchi su cui poter fare affidamento. Due i principali, uno a fianco all'altro, che si scambiano i gruppi con precisione cronometrica, mentre in fondo al forte, il Metal Stage al coperto ci metterà in più occasioni in difficoltà in termini di scelta, considerando le interessantissime band presenti da quella parte. Si parte

Giorno 1. 

Entriamo nel vivo piuttosto in ritardo. Il viaggio da Praga in treno risulta alqaunto lungo. Tappa all'ostello e poi di corsa sul taxi che, senza dover chiedere sa già dove portarci. Rompiamo il ghiaccio coi THE DILLINGER ESCAPE PLAN. La band è al tour d'addio e sceglie le maniere forti per salutarci tutti. Poca schizofrenia e tanti muscoli con i brani presi da 'One Of Us Is The Killer' che dal vivo trovano il loro sfogo naturale. Un addio, o un arrivederci, comunque devastante. Non potevamo iniziare meglio. A seguire gli eroi locali MASTER'S HAMMER che saltiamo, (abbiamo troppa fame e poca predisposizione ad un'ora di Doom in quel momento). Un bel piatto di non so ancora cosa, carico di salse e spezie ci rimette in sesto. Tocca agli OVERKILL, ormai in piena seconda giovinezza e sempre una certezza dal vivo. Poco da aggiungere, inossidabili. Si torna sul palco di sinistra per la prima sorpresa del festival. I misteriosi polacchi BATUSHKA addobbano per bene lo stage. Incappucciati con classe manco li vestisse Vivienne Westwood, in otto, con due chitarre a otto corde e tre coristi che non si capisce nemmeno quando cantano, suonano per intero il loro unico 'Litourgiya', disco avvolto dal mistero fin dalla sua uscita 2015. Li scopro per la prima volta stasera, ed è forse per questo che ne rimango felicemente coinvolto. A prescindere dall'affascinante e iconica scenografia creata, musicalmente la loro pachidermica imponenza è smisurata. Suonando senza un minimo movimento fisico, alzano un muro sonoro che farebbe invidia a molti, grazie anche ad un drummer formidabile. Giornata rapida ma soddisfacente considerando la stanchezza del viaggio. Buonanotte.

Giorno 2. 

Forse la giornata più intensa, dove è impossibile fare anche una sosta per mangiare. 

Sarà la giornata dei primi tribute album, (saranno ben 4 in totale), e delle prime delusioni. Noi iniziamo dai FALLUJA. Gli statunitensi mantengono intatte come da cd, le sfumature tecniche e atmosferiche del loro songwriting, deliziandoci al mattino come un bella colazione di caffè, cornetto e spremuta. Merito essenzialmente dei fonici del Brutal, capaci di garantire universalmente dei settaggi sonori pressochè perfetti. Poi si passa al palco di destra col grindcore dei GADJET. Energia straripante, ma anche piuttosto dispersiva. Forse il Metal Stage al coperta sarebbe stato un habitat migliore per loro, come lo è stato nel caso delle legende finlandesi del grind, i ROTTEN SOUND, che il giorno dopo sotto il tendone ci hanno letteralmente annichilito, frantumandoci testa e timpani. Arrivano i CRYPTOPSY e qui sono di parte, poichè considero 'None So Vile', suonato nella sua interezza, il disco technical brutal più grande di sempre. L'inizio è un po' impastato, causa troppa foga della band di mostrare i muscoli. I canadesi sono di casa qui, sempre presenti nelle ultime edizioni anche dell'Obscene Extreme Festival, che si svolge sempre da queste parti. Il circle pit divora le persone. Matt McGachy è una furia, così come Flo dietro le pelli. Nulla da aggiungere, ascoltare di fila "Phobophile", "Lichmistress" e "Orgiastic Disambowelment" equivale a buttarsi dagli scogli in un mare in tempesta.  

I canadesi hanno vinto a mani basse contro i loro maestri artistici, quei SUFFOCATION che mai come ora sembrano un carrozzone atto a portare avanti la baracca. L'assenza dal vivo di Frank Mullen comincia a farsi stucchevole. Sono loro a chiudere la giornata e causa suoni delle chitarre troppo basse, la potenza dei capolavori presi da 'Pierced From Within' e 'Effigy Of The Forgotten' viene tremendamente a mancare. Terrance Hobbs da solo fa emergere una componente malinconica che non fa bene all'immagine della band che sul palco sembra spaccata in due; da una parte lui e Derek Boyer, dall'altra tre volenterosi ragazzi troppo lontani dal vissuto di questa storica band. Il batterista poi, un fabbro tutto muscoli che non possiede nemmeno un centesimo dello stile di Mike Smith o Dave Culross. Pazienza

 

Ci sono anche i NILE a vincere il confronto, nonostante il loro death metal sia meno fruibile dal vivo. Ma qui c'è Kollias con la camera fissa su di lui, un'attrazione visiva oltre la figura di batterista; ma soprattutto c'è la passione di Karl Sanders, la cui carica amalgama perfettamente anche i due nuovi arrivati Parris e Kingsland. Concreti.

Tra i Nile e i Suffocation arrivano i SAMAEL, splendidamente incisivi dal vivo, autori di una prova davvero incisiva. Il loro sound quasi unico nel periodo 'Passage' e 'Rebellion', riempie l'aria di carica elettronica ed attira l'attenzione di tutti in modo magnetico. Sorpresa. Ci sono poi gli HATEBREED e siamo spacciati, anche perchè un paio di live prima, già i californiani TERROR ci avevano presi a calci con il loro hardcore metallico. I 5 del Connecticut sono come un carrello elevatore. Ci prendono dal basso e ci alzano come fossimo tutti e 10 mila su di un pallet. E quando ci lasciano cadere ne usciamo accartocciati. Non trovo metafora migliore. Caterpillar.

Tra le 22 e la mezzanotte la ciliegina viene messa sulla torta del festival. Prima gli EMPEROR poi gli OPETH. I norvegesi, con la line up di 'Anthems To The Welking At Dusk', (Trym alla batteria e Alver al basso), suonano quel capolavoro di disco che solo una produzione vergognosa a suo tempo ne limitò il successo. Disco che mise Samoth e Ihsahn sul trono del black metal in termini compositivi. Potente e ferale come i più cattivi Marduk, ma con soluzioni tecniche e sinfoniche inarrivabili per tutti.

Dal vivo i brividi sono continui. Ihsahn con quegli occhiali sembra il padre di quel ragazzo che sta sulla cover posteriore del disco, mentre Samoth suona senza la minima espressione facciale e fisica. Un Iceberg lui, meravigliosi e immensi gli Emperor. Come se non bastasse, eseguono anche "Curse You All Men" da 'IX Equilbrium' e le immancabili "I Am The Black Wizard" e "Inno a Satana". A questo punto la band è ad un bivio; l'ora per un nuovo studio album è giunta, considerando l'improbabilità di un tribute tour per 'IX Equilibrium'.

Sugli Opeth che cosa possiamo dire? Potrebbero diventare i prossimi eroi capaci di riempire uno stadio o finire in un limbo fatale in termini di odience. Stasera, senza troppa enfasi, propongono il solito mix tra vecchio e nuovo senza premere troppo sull'acceleratore. Sarà che sono ancora in estasi per gli Emperor, ma la prova degli svedesi risulterà abbastanza lineare.

Giorno 3. 

La giornata del nubifragio non poteva mancare, condizionando non poco la scaletta. Sembrava un pomeriggio tranquillo, con i CROWBAR di zio Kirk Windstein a darci il buongiorno, avvolgenti e 'gentili' come solo loro sanno fare. Nel frattempo il cielo comincia a farsi minaccioso, ma il nostro programma ci porta sotto il tendone del Metal Stage per gli stratosferici ULCERATE. Li aspettavo dal tour di due anni fa coi Gorguts e i nostri Nero Di Marte, tour che toccò solo il Nord America. Adorando le suddette band, ora posso chiudere il cerchio ed avere la prova effettiva delle loro capacità compositive spaventose, perfettamente riproposte dal vivo. Band superiore alla media che ci rassicura sul futuro del metal estremo e non. Arriva la bufera! Una diluvio intenso si scaglia su Jaromer.

Rimaniamo bloccati sotto il tendone e non ci bagnamo nemmeno un po. Fortunati direte voi? Non molto invece. I fortunati sono gli svedesi THE CROWN che immeritatamente si ritrovano davanti una nutrita folla più attenta alla tempesta che a loro. Talmente noiosi, ripetitivi e scontati che, al minimo cedere di pioggia decidiamo di uscire. Risulteranno tra i peggiori del festival, insieme ai francesi THE GREAT OLD ONES che dal vivo, senza i miracoli che avvengono in studio di registrazione, fanno emergere i loro reali limiti. Bagnati, ma felici!

La pioggia finisce e si riparte coi SACRED REICH. Quale coincidenza poteva essere più poetica. Perchè? Semplice, "Surf in Nicaragua" col pubblico immerso in un mare di fango è profetica, con la monumentale "American Way" a chiudere. Amarcord! Dopo le nubi arrivano le tenebre: gli INCANTATION sono cattivi, marci e impietosi. John McEntee e soci faranno due show: uno con pezzi veloci ed uno coi pezzi Doom che, il giorno dopo, farà sprofondare nell'oblio l'Octagon stage. Come gli Immolation, ma mantenendo ancor più intatta la loro matrice death blasfema, stanno raccogliendo tutti i semi malefici del loro quasi trentennale lavoro. I pezzi del nuovo 'Profane Nexus' poi, dal vivo sono come dei coltelli a sega infilati dietro al collo. Mostruosi.

Si torna al Metal Stage per quello che sarà l'evento più curioso dell'intero festival. C'era una volta un Dj di nome IGORRR, appassionato di death metal, musica barocca, Prodigy e compagnia breakcore-drum&bass, che insieme ad una fanciulla soprano e ad un cavernicolo, si ritrova scaraventato sul pianeta metallico. Il contratto per Metal Blade provocherà un bello scossone nel vero panorama alternative metal, perchè la proposta di Igorrr dal vivo, non solo ha convinto tutti, ma li ha letteralmente fatti impazzire. Così come su disco, è stato impossibile rimanere impassibili di fronte a questa nuova creatura che, anche dal vivo, ha lasciato un piacevole senso di confusione nei presenti. Se le altre etichette si butteranno alla ricerca dei nuovi Igorrr allora sarà un bel cazzo di casino! 

Passare ora ai TRIVIUM sembra piuttosto grottesco. Non tanto per la qualità, quanto per la classicità di immagine e di proposta musicale dei floridiani. Ma si sa, il pubblico europeo è fin troppo educato e gentile. Anche se a breve ci saranno i mostri sacri CARCASS, gli statunitensi raccolgono comunque un bel pò di gente sotto il palco. Anche questa lunga giornata sta per volgere al termine. Bill Steer e Jeff Walker, i padri del Goregrind, sono delle icone adorate da tutti. Sostituiscono i Morbid Angel ma nessuno sembra dispiaciuto, anche perchè di death metal puro e crudo ne abbiamo avuto in pasto parecchio. E poi loro sono l'unico gruppo death che può far fare al pubblico cori del tipo "EH EH EH EH!" col pugno alzato come fossero gli Ac/Dc. Tutto magnifico, con il repertorio che hanno potrebbero fare tre volte il giro del mondo, anche se, onestamente, sarebbe anche ora di rientrare in studio. Buonanotte.

Ultimo giorno.

Sfiniti dalla giornata precedente e con gli occhi sempre attenti al cielo, l'ultimo giorno lo viviamo con più distensione. Sarà una giornata ricca di amarcord, con i thrasher danesi ARTILLERY a darci il buongiorno, ma soprattutto con la potenza sempreverde dei redivivi DEMOLITION HAMMER. Come gli amici Solstice e i Devastation, negli anni novanta la loro proposta, in bilico tra death e thrash, non li portò molto lontano, nonostante il domicilio in casa Century Media. Un vero peccato perchè dal vivo, invece, non possiamo che arrenderci alla loro incredibile potenza.

Prima di loro, sullo stesso palco, registriamo anche la prova piuttosto asettica dei DECAPITATED. Un po' me l'aspettavo, considerando la staticità ritmica che su disco, sta sostituendo quella verve old school che ne ha determinato il successo. Dal vivo il groove è freddo, con tanti saluti ai capolavori del passato. Ci riprendiamo con la sorpresa ZRHINE, che dalla fredda Islanda ci portano una ventata di portentosa intelligenza sonora, e con il redivivo Johan Edlund. Il mastermind dei TIAMAT, con cappello di paglia e occhiali neri, sembra Renato Zero che imita Jim Morrison, sognatore deluso per quell'inno alla natura e alla bellezza che fu 'Wildhoney'. Disco meravigliosamente utopico, che negli anni ha rivelato il fallimento dell'uomo nei confronti della maestosità di Gaia. Edlund, amareggiato da tale fallimento, suona l'intero album tra tristezza e sdegno, col sorriso e la teatralità di chi deve comunque fare spettacolo. Ne uscirà vincitore, tra il divertimento sincero del pubblico, nonostante il disco, musicalmente parlando, non sia stato proprio tributato al meglio, con le tastiere incredibilmente relegate in secondo piano, un errore imperdonabile a dir poco se si conosce il disco.

Cena rapida consumata con i sottofondo gli onnipresenti AMORPHIS, ormai apprezzati ovunque, per i quali sottolineiamo il ritorno al basso di Oli-Pekka Lane, stranamente non menzionato dal singer in fase di presentazione dei membri della band. Chiudiamo malissimo un festival pressochè perfetto con gli scandalosi MAYHEM. L'operazione 'De Mysteriis Dom Sathanas Alive', gia raccontata dal sottoscritto nel concerto di Milano qualche mese fa, non ci è piaciuta sin dall'inizio, ma almeno in quella circostanza la prova dal vivo fù molto convincente. Stavolta il concerto è filato via veloce e il 'tributo' è stato servito tra suoni impastati e un basso dai toni inascoltabili. Sta buffonata continuerà ancora; nuovo tour annunciato per il Nord America con gli Immolation. Triste destino quello dei Mayhem: così come Euronymous camminò sul cadavere di Dead per macabri fini commerciali, oggi il cadavere calpestato a fin di lucro è il suo, tra un ghigno di Necrobutcher ed una rullata di Hellhammer. Si torna in ostello alle 4 di mattina, stanchi, felici e rintronati. Esperienza molto positiva che consigliamo vivamente a tutti. Arrivederci all'edizione numero 23 e occhio al bill!

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